Fin qui Luca Sbardella, commissario di Fratelli d’Italia in Sicilia, aveva mostrato una sola faccia della luna: quella del padre di famiglia premuroso, venuto da Roma per placare l’ingordigia dei baroni locali e spazzare via gli scandali che avevano rabbuiato la Meloni. Non sapeva nulla di Sicilia e di Regione, nemmeno che le province si chiamassero Liberi Consorzi. L’obiettivo era ridare autorevolezza ai patrioti locali, che per anni hanno dovuto fare i conti con una gestione controversa e scriteriata (economicamente parlando) ad opera della corrente turistica. “Noi non siamo questi”, aveva sbottato Giovanni Donzelli dopo il caso-Auteri, chiedendo all’ex vicecapogruppo alla Camera, Manlio Messina, di prenderne le distanze. Sbardella era (sembrava) questa roba qui: il “papa straniero” utile a ripulire l’immagine e far circolare l’aria nella stanza.
L’intervista di ieri a Live Sicilia, le accuse a Forza Italia e il richiamo a Schifani, però, aprono una fase nuova. Non solo autorevolezza, ma autorità. Fratelli d’Italia in due mesi avrebbe già completato la transizione dal partito vecchio al partito nuovo e, sulle ali del consenso della Meloni (neppure scalfito da una sinistra inesistente), il partito è pronto a prendersi la guida della coalizione. E forse Palazzo d’Orleans. Ma andiamo con ordine: Sbardella ha puntato il dito, ripetutamente, contro la “poca educazione” e lo scarso “senso di coalizione” di Forza Italia, incapace di fare un passo indietro sulle candidature per favorire la coesione del centrodestra; ma se l’è anche presa con Schifani per non essere intervenuto in maniera provvidenziale e tempestiva sulle mire cannibalistiche dei suoi.
Forse pensa che il governatore sia complice (ma sul “non detto” meglio non pronunciarsi). Sicuramente crede che non abbia fatto abbastanza per surrogare il federatore Marcello Caruso, che fin dagli albori di questa campagna elettorale non è stato in grado di impartire indicazioni valide e durature per sé e per gli alleati: “Un tavolo che era partito bene, almeno apparentemente – ricorda Sbardella -. Con una regola ben precisa che era anche un atto di generosità da parte dei partiti più grandi: una candidatura per ogni forza che compone la coalizione. Poi…”. Il presupposto è venuto meno fin da subito, e ha indotto lo stesso Caruso a cedere lo scettro delle decisioni alle delegazioni provinciali dei partiti. E a quel punto si è scatenato il marasma: non solo è saltato il piano delle liste uniche, ma anche quello dei candidati di sintesi. Un errore che ha portato a perdere alcune province ma che paradossalmente, per FdI, potrebbe rappresentare un’occasione.
Sbardella non si è mai occupato di Caruso in vita propria e non comincerà a farlo adesso: per questo il rimprovero a mezzo stampa non è nulla di personale. Semmai, un chiaro messaggio politico: visto che Forza Italia non ce l’ha fatta, i meloniani sono pronti a guidare la coalizione. Ma questo messaggio nasconde un’insidia: finora il leader naturale del centrodestra in Sicilia è Renato Schifani, indicato da tutti come “naturale ricandidato” alla presidenza della Regione. Ma come farà Schifani a essere ricandidato se sarà un partito diverso a tenere le redini del centrodestra? Non può certo sperare che La Russa gli conceda la grazia per la seconda volta…
Vari segnali confermano che l’asse comincia a pendere a destra: da qualche tempo Fratelli d’Italia ha instaurato un rapporto fitto con quelli di Grande Sicilia, soprattutto sulla vertenza dei due aeroporti. E non è un mistero la vicinanza e l’affetto tra Raffaele Lombardo (che ha appena chiesto un’altra casella in giunta) e Gaetano Galvagno, cioè l’enfant prodige del mondo patriota. Il presidente dell’Ars ha augurato altri 7 anni e mezzo di mandato al presidente Schifani, ma per gli addetti ai lavori resta il candidato naturale se l’uscente non dovesse essere riconfermato. O dovesse rinunciare. O dovessero farlo fuori. Ecco perché l’operazione di Sbardella, proiettata su questo sfondo, assume tutta un’altra levatura. “FdI è il partito più forte della coalizione”, ha detto nel corso della sua intervista. Ciò che non ha detto è che potrebbe far valere questo peso in qualunque momento.
Dopo aver depurato Fratelli d’Italia da quel fastidioso odore di marcio, proveniente dalla vecchia gestione, aver rabbonito gli ex Diventerà Bellissima e aver ricondotto i patrioti all’unità, ora il commissario punta a espandersi: ritiene di avere i numeri e le personalità per poterlo fare. La classe dirigente era e rimane un po’ acerba, conferma di avere poca attitudine all’attività di governo (basti vedere gli attuali assessori in giunta), ma il consenso è tutto dalla loro parte. Con un pezzo di centro complice e un partito votato all’autodistruzione come competitor (Forza Italia), tutto diventa possibile.