Se la sfida sarà quella tra clientele, il centrodestra in Sicilia continuerà a vincere a mani basse. Non perché governi bene, anzi, da anni governa malissimo, ma perché si regge su una rete fitta di notabilati locali, di pacchetti di voti blindati e di un’affluenza che rasenta il minimo storico. In un contesto in cui la stragrande maggioranza dei cittadini sceglie di non votare, il peso dei “clientes” diventa decisivo. Alle europee è emerso plasticamente. In questo schema, non conta la qualità del governo: conta la promessa mantenuta al singolo, la raccomandazione, il favore concesso. È un voto di scambio che prescinde dai risultati e resiste ad ogni alternanza.
L’idea di politica dei notabili non è la politica, ma la sua negazione: è gestione di potere, occupazione di spazi, controllo militare dei luoghi in cui si formano i consensi.
E allora il centrosinistra se vuole vincere non deve inseguire questo schema, condannandosi all’irrilevanza, ma deve romperlo.
Serve innanzitutto unità tra le forze alternative al governo Schifani e servono candidature e programmi radicalmente diversi, capaci di entusiasmare, di spingere al voto chi si è rifugiato nell’astensione perché non crede più a nulla. Servono figure che incarnino il cambiamento.
Il centrosinistra deve promettere e soprattutto realizzare una Sicilia “sottosopra”, non una ritinteggiatura. Altrimenti i giovani siciliani continueranno ad emigrare e si porteranno dietro le famiglie, il welfare lontano da casa per un costo della vita impossibile per stipendi da fame.
Un patto sacro con i cittadini che dica chiaro e tondo: i dirigenti generali, i manager e i primari della sanità verranno scelti per merito, non per appartenenza. Gli appalti e le gare saranno davvero liberi da pressioni politiche. Le risorse pubbliche saranno distribuite ai comuni sulla base della qualità dei progetti e non per ricompensare il sindaco amico. Si deve promettere che se il patto non sarà mantenuto si va a casa.
E ancora: un reddito di formazione per i giovani, che non diventi l’ennesima rendita per enti inutili ma un investimento reale sul futuro. Meno poltrone e più efficienza: un unico Ato regionale per l’acqua, una sola tariffa. Veri investimenti sulle reti idriche, sui rifiuti, sulle infrastrutture. Più asili nido, più tempo pieno a scuola, congedi paritari per madri e padri. Perché se è vero che al Sud il costo della vita è più basso che al Nord è anche vero che l’assenza dei servizi essenziali pareggia i costi per le famiglie, diciamolo a quelli delle Lega che tornano a proporre salari più bassi nel Mezzogiorno.
Basta clientele travestite da cultura: la Fondazione Federico II autonoma dalla politica, i sovrintendenti scelti tra i migliori, non tra i fedeli. Sburocratizzazione spinta per la realizzazione delle opere pubbliche e per le imprese che vogliono investire. Serve una classe dirigente che sappia usare a fini produttivi l’intelligenza artificiale non per post fasulli come fa Renato Schifani.
E soprattutto: la politica deve arretrare. Deve smettere di essere una piovra che si insinua ovunque. I parlamentari non possono continuare a bazzicare assessorati e Asp per garantire posti e favori. Devono tornare a fare il loro mestiere: programmare, legiferare, controllare che tutto funzioni con serietà e trasparenza. Oggi troppi deputati non presentano un disegno di legge, non firmano un’interrogazione, non articolano una proposta. Eppure prendono migliaia di voti. Da dove vengono, se non da un sistema che premia la fedeltà al notabile e non la capacità politica? Spiccia faccende e salta file scambiati per donne e uomini radicati nel territorio.
Il nodo è tutto qui: o il centrosinistra costruisce un progetto credibile e alleanze capaci di liberare il voto e renderlo finalmente “fresco”, oppure sarà condannato a inseguire all’infinito. Perché di copie ce ne sono tante, ma all’elettore, si sa, piace sempre di più l’originale.
Serve un all in, un salto senza rete. Puntare tutto su una mano e provarci davvero. Non accontentarsi della solita opposizione garantita, del 40% dei seggi spartiti tra poche liste che superano la soglia del 5% pianificato dai soliti tromboni. Così si certifica la sconfitta, non la si evita. Bisogna alzare la testa e tentare di vincere sul serio.
Ma vincere per fare cosa? Non per occupare il potere, bensì per restituirlo ai cittadini. Perché la Sicilia non ha bisogno dell’ennesima gestione di palazzo, ma di una liberazione civile, non dei Zaia trapiantati come dice Pietrangelo Buttafuoco o dell’abolizione dell’autonomia speciale come propone Carlo Calenda. Perché qui il tema non è destra o sinistra: è libertà o sudditanza.
In Sicilia o si spezza la catena delle clientele, o si resta schiavi per sempre.