Nel “Libretto Rosso” di Mao Zedong, testo simbolo della Rivoluzione culturale cinese molto citato daimovimenti studenteschi del 1968, si legge una frase divenuta proverbiale: “Ci sono morti che pesano come piume e morti che pesano come macigni.” 
Quella di Maria Cristina Gallo, professoressa di Mazara del Vallo, pesa come un macigno. Pesa per la immensa tragedia personale e familiare, ma anche perché rappresenta con spietata chiarezza l’immagine di una sanità che non è più in grado di as sisters i cittadini. La sua vicenda è lo specchio di un sistema sanitario regionale che si è avvitato su se stesso, dove la disorganizzazione si intreccia con la politica, la scarsità di competenze, la frammentazione amministrativa e l’indifferenza burocratica. E, come talvolta accade, il destino di una sola persona finisce per illuminare il fallimento collettivo.

La Sig.ra Maria Cristina Gallo aveva cinquantasei anni. Insegnava, viveva a Mazara del Vallo e conduceva una vita serena finché, nel dicembre 2023, un intervento chirurgico di isterectomia cambiò tutto. Come previsto dal protocollo, il tessuto asportato venne inviato al laboratorio di Anatomia patologica per l’esame istologico. Un atto di routine, ma anche il più cruciale nel percorso diagnostico di un tumore. In condizioni normali, un referto istologico arriva in pochi giorni o, al massimo, in un paio di settimane. In Sicilia, o almeno nell’ASP di Trapani, la normalità era già diventata un ricordo lontano. Per la Sig.ra Gallo, l’attesa durò otto mesi. Il referto, richiesto a dicembre, arrivò soltanto nell’agosto 2024. Quando finalmente fu consegnato, la malattia aveva già invaso il corpo: metastasi diffuse, tumore in stadio IV. Da quel momento cominciò il calvario terapeutico, le cure, i viaggi, la speranza e, insieme, la rabbia.

La Sig.ra Gallo non si limitò a subire. Denunciò pubblicamente il ritardo, trasformando la propria vicenda in una battaglia civile. “Non voglio giustizia ma voglio praticare la giustizia per il futuro”, disse in un’intervista a Repubblica. Voleva che la sua sofferenza servisse almeno a impedire che altri si trovassero nello stesso limbo di attesa e di paura. Ma la giustizia che auspicava non arrivò in tempo. Il 10 ottobre 2025 la Sig.ra Maria Cristina Gallo è morta, a Mazara del Vallo. È morta per la progressione della neoplasia, ma anche per l’accumularsi di errori, omissioni e disorganizzazione che hanno ritardato la diagnosi e, con ogni probabilità, ridotto drasticamente le possibilità di trattamento efficace. La Procura di Trapani, guidata dal procuratore Fernando Asaro, ha aperto un’inchiesta. Sono stati indagati dieci medici. Sono state acquisite cartelle cliniche, tracciati, comunicazioni interne, relazioni di reparto. L’obiettivo dell’indagine è accertare se vi sia stato un nesso di causalità tra il ritardo del referto e l’aggravamento della malattia.

Il caso della Sig.ra Gallo non è rimasto isolato. Anzi, la sua denuncia ha scoperchiato uno dei più grandi scandali di cattiva gestione sanitaria mai registrati in Sicilia: quello dei ritardi nei referti istologici, un settore cruciale del sistema diagnostico. Come lei, oltre tremila pazienti erano rimasti per mesi in attesa di conoscere l’esito di una biopsia. Tremila persone sospese fra la speranza e la paura, fra la vita e l’incertezza. Dei 3 313 referti accumulati nei laboratori dell’ASP di Trapani, ben 356 risultarono positivi per neoplasie. Un numero impressionante, che corrisponde a 356 vite potenzialmente compromesse o rese più difficili da trattare a causa del ritardo. L’origine dell’incredibile dsfunzioe va ricercata nella cronica carenza di personale e nella disorganizzazione dell’anatomia patologica del Sant’Antonio Abate di Trapani, reparto epicentro dell’emergenza. Già nel 2023 la direzione sanitaria era stata avvisata di gravi ritardi. Il 20 maggio 2024 il primario di Chirurgia di Mazara aveva inviato una nota interna per segnalare che esami richiesti sin dal settembre 2023 risultavano ancora inevasi. Quella lettera è oggi uno dei documenti chiave dell’inchiesta. Nessuno, tuttavia, reagì con la prontezza dovuta. Non vennero attivate procedure straordinarie, non furono mobilitati rinforzi, non vennero allertati i vertici regionali. L’inerzia divenne abitudine.

Quando, all’inizio del 2025, la vicenda della Sig.ra Gallo esplose sui media nazionali e venne ripresa in Parlamento con due interrogazioni del vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, la realtà apparve in tutta la sua gravità. L’assessorato regionale alla Salute, sotto la pressione dell’opinione pubblica, fu costretto ad avviare una task force. In dieci giorni, il gruppo ispettivo esaminò i 3 313 vetrini arretrati. I risultati furono sconvolgenti: 356 pazienti oncologici “significativamente gravi”, migliaia di altri in ansia, un reparto al collasso. Le conclusioni della relazione parlano di “disfunzioni gestionali, ritardi strutturali, totale assenza di responsabilità e di monitoraggio temporale”. Parole che fotografano un disastro organizzativo e umano.

Per tentare di arginare l’emergenza, l’ASP di Trapani aveva stipulato una convenzione con l’ASP di Catania. Ma anche questo rimedio si rivelò effimero. Pochi mesi dopo, i responsabili catanesi chiesero di sospendere i servizi: lamentavano “non completezza dei preparati istologici” e “mancata linearità temporale nell’invio dei casi”. In sostanza, i campioni arrivavano incompleti o in ordine caotico, rendendo impossibile un lavoro corretto e tempestivo. La relazione dell’assessorato definì la vicenda “un pasticcio che comportava rischi di contenziosi medico‑legali”. Rischi che, inevitabilmente, si sono trasformati in denunce e in procedimenti giudiziari.

Nel frattempo, i pazienti restavano in attesa. Molti di loro non avevano più fiducia nella sanità pubblica e si rivolgevano a strutture private o fuori regione, in un esodo sanitario che da anni impoverisce la Sicilia. L’allora direttore generale dell’ASP, Ferdinando Croce, nominato in quota Fratelli d’Italia, difese il proprio operato e attribuì parte della responsabilità all’assessorato alla Salute, sostenendo di aver informato gli uffici regionali con una PEC datata 18 luglio 2024 alla quale, disse, non seguì alcun provvedimento. Anche questa circostanza è oggetto d’indagine: chi sapeva? Da quanto tempo? E perché nessuno è intervenuto finché non il coraggio civile della Sig.ra Gallo non ha portato a evidenziare pubblicamente la situazione?

Secondo gli standard nazionali e internazionali, i tempi medi di refertazione per campioni operatori complessi non dovrebbero superare i 20 giorni lavorativi. In molti ospedali italiani e nei centri oncologici europei il valore medio è di due o tre settimane. Otto mesi equivalgono a oltre dieci volte la soglia di sicurezza. In oncologia, un ritardo del genere può fare la differenza tra una terapia curativa e una palliativa. Non è una questione di negligenza isolata, ma di sistema. È l’effetto di anni di sotto‑finanziamento, di carenze strutturali, di nomine politiche che hanno svuotato le direzioni di competenza tecnica. È il prodotto di un sistema che ha smarrito la sua capacità di autocontrollo.

Nella teoria degli errori catastrofici, sviluppata da James Reason, si parla di “fette di formaggio svizzero”: ogni barriera di sicurezza presenta dei fori, ma se i buchi si allineano, l’errore attraversa tutto il sistema fino all’esito tragico. Nel caso della Sig.ra Gallo, le fette erano molte e tutte perforate: la carenza di personale; l’assenza di un sistema informatico integrato e tracciabile; la mancanza di priorità per i casi oncologici; la disorganizzazione delle unità di anatomia patologica; la mancanza di controlli direzionali; il silenzio delle autorità regionali. L’esito non è stato un incidente imprevedibile, ma la conseguenza inevitabile di un allineamento perfetto di inefficienze. Il sistema sanitario, se correttamente organizzato e gestito, possiede meccanismi di “self‑recovery”: quando un reparto va in crisi, scattano procedure di emergenza, si attivano convenzioni, si mobilitano risorse, si spostano casi. In Sicilia, invece, il sistema non solo non si è auto‑corretto, ma ha amplificato il problema. L’assenza di monitoraggio reale, la frammentazione gestionale e la mancanza di trasparenza hanno reso impossibile qualunque reazione tempestiva. La macchina amministrativa si è comportata come un organismo privo di sistema immunitario.

La prof. Gallo è diventata, suo malgrado, il volto di questo collasso. La sua storia ha spinto i media, l’opinione pubblica e la magistratura a sollevare il velo su un fenomeno che da anni covava sotto traccia. Dopo le prime rivelazioni, emersero casi analoghi: un padre che ricevette il referto dopo dieci mesi, una donna che scoprì la diagnosi di tumore quando ormai era metastatico. Ogni nuovo caso aggiungeva un tassello al mosaico della disfunzione. In pochi mesi la Sicilia si trovò a dover affrontare non solo un’emergenza sanitaria, ma anche una crisi di fiducia senza precedenti. Le conseguenze politiche non tardarono, naturalmente ex post. L’assessorato regionale alla Salute venne travolto dalle polemiche; il direttore generale dell’ ASP di Trapani Ferdinando Croce fu sospeso e l’ASP commissariata. Al suo posto fu nominata la dottoressa Sabrina Pulvirenti, con il compito di ricostruire un reparto e, simbolicamente, la fiducia dei cittadini. Ma la sostituzione dei vertici, pur necessaria, non basta a sanare un sistema che appare logorato in ogni sua fibra. Perché la vera domanda resta: come si può evitare che un’altra Sig.ra Gallo debba attendere otto mesi per un esame che le avrebbe potuto salvare la vita?

Per rispondere occorre ammettere che la sanità siciliana è intrappolata in una rete di interessi che poco hanno a che vedere con la salute. Le nomine apicali spesso rispondono a logiche politiche; i concorsi vengono ritardati; le risorse del PNRR procedono a rilento; i fondi destinati all’innovazione diagnostica vengono dirottati o non spesi. Il risultato è un sistema che funziona solo per inerzia e che misura la propria efficienza non sulla qualità delle cure, ma sulla sopravvivenza dei burocrati al comando. La Regione non ha ancora introdotto un sistema di monitoraggio in tempo reale dei tempi di refertazione; non ha reso pubblici i dati comparativi tra aziende; non ha imposto soglie di allarme obbligatorie. Si procede per emergenze, non per programmazione.

L’esperienza dimostra che un sistema complesso non può reggersi su atti di sacrificio individuale in assenza di personale e strutture adeguati. Serve un disegno organizzativo che preveda margini di sicurezza, ridondanze controllate, feedback continui. Le migliori anatomie patologiche italiane hanno sistemi informatici integrati che tracciano ogni passaggio: dal prelievo al taglio, dalla colorazione al referto digitale. Tutto è visibile, tutto è monitorabile. In Sicilia, a Trapani, mancava perfino un cruscotto direzionale aggiornato. Così il ritardo non era più un’eccezione, ma la norma. E quando la norma è la disfunzione, la tragedia diventa solo questione di tempo. Gli ispettori ministeriali, nella loro relazione, hanno evidenziato un “totale scollamento tra livello tecnico e livello gestionale”. Tradotto: i tecnici cercavano di fare il possibile con mezzi insufficienti, mentre la dirigenza aziendale non aveva né strumenti né visione per governare la crisi. La Sig.ra Gallo è morta dentro questo scollamento, vittima di un cortocircuito fra competenze e responsabilità.

È giusto allora chiedersi se la sua sia una tragedia imprevedibile o un delitto del sistema. Tutti I fatti confermano la seconda ipotesi. Non c’è nulla di imprevedibile in un reparto al collasso; nulla di imprevedibile in un backlog di oltre tremila referti; nulla di imprevedibile nel silenzio delle autorità regionali di fronte a una PEC che segnalava il problema; nulla di imprevedibile nell’assenza di controlli strutturali. Tutto era prevedibile, tutto era evitabile. E proprio per questo tutto è più colpevole.

La Sig.ra Maria Cristina Gallo aveva compreso il significato profondo della sua battaglia: non cercava vendetta, ma un futuro migliore per gli altri. Più volte ha affermato: “Voglio praticare la giustizia per il futuro”, in queste parole c’è la misura della sua dignità civile. Oggi il modo più autentico per onorare la sua memoria non è solo individuare i colpevoli, ma ricostruire un sistema che sappia apprendere dagli errori. È necessario introdurre indicatori di performance pubblici, pubblicare mensilmente i tempi medi di refertazione, stabilire corsie rapide per i casi oncologici, prevedere meccanismi automatici di allarme e di recupero, formare nuovo personale, investire in digitalizzazione e in leadership competenti.

La vicenda di Maria Cristina Gallo insegna che la cattiva sanitá non nasce dal caso, ma dalla cultura dell’indifferenza. Quando la burocrazia sostituisce la missione, quando la politica usa la sanità come terreno di scambio, quando la formazione e il merito vengono sacrificati, il sistema smette di essere sanitario e diventa solo amministrativo. E un sistema amministrativo non salva vite: le gestisce, e spesso le perde. Per questo la morte della Sig.ra Gallo pesa come un macigno. Pesa perché segna il punto in cui la società deve decidere se accettare il degrado o ribellarsi ad esso. Pesa perché mette ognuno di fronte alla domanda più semplice e più terribile: se domani fosse mia madre, mia sorella, mia figlia, quanto tempo dovrei aspettare per un referto? E se la risposta è “otto mesi”, allora non è più solo una questione di sanità, ma di civiltà.