La morte di Battiato mi fa tornare alla mente una vecchia storia.

La voce del padrone, anno 1981, è uno dei dischi italiani più belli di sempre, un capolavoro di musica, parole, arrangiamenti, un miracolo che ruppe gli schemi. Fu il primo disco a superare il milione di copie e, di fatto, consacrò Battiato.

Battiato, per quanto folle possa sembrare, odiava quel disco. Odiava soprattutto Centro di gravità permanente. Col tempo, nei concerti, di quel disco concedeva pochissimo. Sapeva di deludere il pubblico ma pazienza.
Con La voce del padrone i discografici pensarono di avere trovato la gallina dalle uova d’oro. L’anno successivo si aspettavano un album fotocopia, un altro disco da un milione di copie. Battiato, spiazzandoli, uscì con L’arca di Noè, album ostico con l’unica eccezione di Voglio vederti danzare, ultima traccia, che Battiato inserì controvoglia, come una sorta di concessione ai discografici che fin dal primo ascolto avevano capito che quel disco avrebbe avuto vita non facile. Di quel disco, Voglio vederti danzare resta l’unica traccia nota.

Quando Woody Allen finì di montare Manhattan, il suo film simbolo, ne fu inorridito. Chiamò i produttori pregandoli di non farlo uscire al cinema. In cambio avrebbe realizzato un film gratis. Il film ovviamente uscì, fu un successo planetario e Woody Allen, da allora, ne è indissolubilmente legato. Chi si aspettava un Manhattan bis, l’anno dopo restò drammaticamente deluso con Stardust memories, un chiaro sberleffo ai fans adoranti (come me) e in sintesi uno dei suoi film meno riusciti e meno noti, e che Woody ha invece sempre difeso con convinzione.

Baglioni era e resta per tutti quello di Piccolo grande amore. È una canzone che lui non ama particolarmente. Molti anni fa cercò imprudentemente di eliminarla dai concerti. L’ha riarrangiata in mille modi per farla apparire diversa da quella che è, nel tentativo di non essere etichettato a vita come il cantore della maglietta fina. Non aveva ovviamente una sola speranza di riuscirci, per quanto negli altri cinquant’anni di carriera abbia scritto cose lontane anni luce – anche colte, difficili, ostiche – da quella canzonetta adolescenziale.

C’è a volte una distanza enorme fra ciò che noi sentiamo e viviamo e ciò che percepiscono gli altri. Immagino succeda soprattutto agli artisti, ma è una storia che ci riguarda forse un po’ tutti. Quello che di noi vedono gli altri non è quasi mai reale, vorremmo anche ribellarci però a un certo punto per pigrizia, per stanchezza o per chissà cosa, ci adeguiamo, come a dire e vabbè. Servirebbe il coraggio degli artisti, di certi artisti, deludere gli altri per capriccio, per vezzo, per dispetto. Fare il contrario di ciò che ci si aspetta da noi, non sarebbe bellissimo?

(tratto da Facebook)