«Chiarimenti documentati su tipologia, dimensionamento e finanziamento degli impianti di termovalorizzazione, anche in rapporto con il previsto ampliamento delle discariche e i nuovi impianti pubblici per la gestione dei rifiuti». È la richiesta messa nero su bianco dalla Sezione di controllo della Corte dei conti per la Regione siciliana, nella delibera di approvazione delle bozze di referto sul “Ciclo dei rifiuti”, l’economia circolare e le azioni a tutela dell’ambiente.
Il Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani prevede la costruzione di due termovalorizzatori, a Palermo e Catania, del costo stimato di 400 milioni di euro ciascuno, i cui scarti saranno smaltiti nelle discariche esistenti, con ulteriori ampliamenti per garantire capacità di abbancamento. «Sebbene la tecnologia legata alla progettazione di impianti termovalorizzatori consenta, al giorno d’oggi – scrivono i magistrati – di realizzare impianti a basso impatto ambientale, residua comunque una certa quantità di sostanze inquinanti prodotte… che, benché minima, produce effetti sull’ambiente circostante e sulla salute umana».
La Corte ricorda che «l’Unione Europea ha voluto scoraggiare tutte quelle forme di trattamento dei rifiuti che determinano un rischio per l’uomo e l’ambiente, privilegiando metodi e processi ad impatto zero». Durante le audizioni in IV Commissione Ars, Anci Sicilia ha parlato di «sovradimensionamento» degli impianti, in contrasto con l’aumento della raccolta differenziata e con le direttive europee che fissano al 10% il limite di conferimento in discarica o incenerimento.
Palazzo d’Orleans, che entro settembre dovrà consegnare a Invitalia i nomi dei vincitori dell’appalto per i progetti di massima, prepara la sua replica. Nella bozza di risposta si sottolinea che i due impianti «non sono differenti dal punto di vista tecnologico dai 350 in funzione in tutta Europa»: 126 in Francia, 96 in Germania, 37 nelle altre regioni italiane. E che la Regione si è mossa «nel solco indicato dal Consiglio di Stato e dalla Commissione Europea».