L’on. Salvatore Cardinale – “Totò per gli amici di lingua e avventura” secondo Vincenzo Viti, che ha curato la prefazione del suo libro – è stato ministro di Poste e Telecomunicazioni nel primo e nel secondo governo D’Alema, oltre che del governo Amato, dal ’98 al 2001. Le vicende personali di questo “giovane della Prima Repubblica”, come ironicamente si definisce lui stesso, intersecano una vicenda ben più ampia che è la storia politica nazionale e internazionale dagli anni ottanta fino ad oggi. Ne parla mentre fa ritorno al paese natìo, nella quiete bucolica del paesaggio montano. Si racconta con la naturalezza di chi non ha perso il contatto con le radici e con l’autorevolezza che da sempre gli appartiene. Iconico, nel suo pullover azzurro cielo, attende dietro la finestra. Abituato com’è a non sbagliare pause e note.

Nell’ottobre del ’98 viene nominato ministro delle Comunicazioni. Come ha vissuto quel momento e i tanti che lo hanno preceduto?

“Mi informò alle otto del mattino una telefonata di Luciano Violante. Mi sentii sollevato al pensiero di aver puntato nella direzione giusta concorrendo a conseguire un risultato che offriva grandi potenzialità al nostro movimento dopo un cammino faticoso e pieno di rischi”.

Come visse il periodo precedente la sua candidatura?

“Mi scontravo con una forte personalità come Antonio Maccanico che aveva occupato, nel Governo Prodi, il ministero che richiedevano per me, e poi ci furono forti resistenze ad assegnare un ministero di grande importanza strategica ad un movimento appena entrato in maggioranza. Seguimmo il consiglio di Cossiga di staccare i telefonini e di stare lontani dal Parlamento sino all’indomani sera per evitare di essere rintracciati. E alla fine l’abbiamo spuntata”.

Un ministero d’importanza davvero strategica per quei tempi, rivoluzionario col senno del poi. C’è un aneddoto curioso narrato nel libro relativo ai giorni del suo insediamento.

“Mi ero insediato da poco e mi ritrovo, incalzato dal mio capo di gabinetto, a sottoscrivere una dichiarazione, preventivamente consegnatami, con la quale confermare un’intervista di Cossiga che anticipava una linea durissima del Ministro delle Comunicazioni -presentato come suo amico- contro Mediaset e le aziende di Berlusconi. Sollecitato oltremodo, premiai l’eccesso di zelo del mio capo di gabinetto, offrendogli diversa destinazione, lontano dai miei uffici. Poi fu la volta di Cossiga. Dagli uffici di Largo Brazzà, un meraviglioso palazzo cinquecentesco che si affaccia su Fontana di Trevi, rompo il ghiaccio del silenzio stampa, che fino ad allora mi ero imposto per ragioni di obiettiva delicatezza, e rilascio la mia prima intervista da Ministro. L’intervista esce l’indomani e titola: “Non sono una clava nelle mani di Cossiga”. Spiegava che ero ministro di un Paese e non di parte e che consideravo Mediaset una grande e rispettabile azienda”.

In seguito arrivano gli oneri e gli onori di caratura anche internazionale che la vedono attore di eventi mondani con personalità di spicco.

“Mi accadde di ritrovarmi in un “salotto” a casa della celebre Suso Cecchi d’Amico, sceneggiatrice di Visconti, insieme e di fronte a tanti mostri sacri. Non nego un certo mio imbarazzo che fu tuttavia smorzato dall’abilità della padrona di casa, persona eccellente. E poi c’è la mia terra che sempre salva: il mio amico Beppe Cino, regista e intellettuale col quale avevo organizzato l’incontro che mi rassicurò dicendomi che ero riuscito a convincere tutti”.

A proposito della sua terra, della sua formazione giovanile, del suo contesto territoriale, delle sue amicizie e dei suoi affetti. Cosa le piace ricordare di quel ‘comincio’, che costituisce l’incipit del libro?

“Essere l’unico maschio di cinque figli, per ogni siciliano che si rispetti equivale ad un carico di responsabilità non indifferente”.

Lei cita spesso suo padre come “persona saggia” che le ha trasmesso molto, anche col silenzio.

“Papà era un fervente cattolico e confidava nella Divina Provvidenza. Così ogni volta che, dopo il parto di mia mamma, gli veniva comunicata la nascita di un’altra bimba, lui chiedeva se era in buona salute e ringraziava il cielo”.

Poi finalmente arriva il maschio tanto agognato.

“Già! Sono stato molto amato ed eccessivamente protetto, ma grazie al mio carattere desideroso di indipendenza riuscii a svincolarmi da quella mano che, se ti sostiene troppo, rischia di stritolarti”.

Cosa ricorda della formazione giovanile in un contesto che da lì a poco si sarebbe rivelato decisamente troppo stretto per un giovane dalle idee chiare, come amava descriverla la narrativa paesana?

“Ricordo il calore del fuoco come una sensazione quasi fisica. Quel calore che non si origina solamente da un braciere di ferro protetto da un reticolo di legno sapientemente intrecciato. E’ il calore delle storie che si narrano, si intrecciano e si fondono. Storie fatte anche di tristezza, per una povertà quasi atavica, connaturata a questa nostra terra, che, con i suoi demoni e i suoi santi, costituisce l’epifania mistica di un mistero sempre diverso e sempre uguale a se stesso”.

E poi arriva l’America. Questo giovane dell’entroterra siciliano, in visita ufficiale, con la moglie, a Washington dal Presidente Bill Clinton.

“Fui invitato dalla NIAF, importantissima e antica fondazione italiana negli Stati Uniti, a partecipare, insieme a Lamberto Dini, Ministro degli Esteri, ad un pranzo con il Presidente Clinton e la consorte Hillary. Fui scelto per l’abilità con cui avevo condotto la mia politica sulle telecomunicazioni. Cosa, questa, che mi riempì particolarmente di orgoglio. Questa fu anche l’unica volta che mia moglie mi accompagnò all’estero. E fu un’occasione emozionante ma non solo: ebbi modo di apprezzare anche quel modo tutto americano di finanziamento ai partiti. A fine serata, infatti, ogni commensale depositava una busta per la quale riceveva apposita ricevuta. Un modo sano di sostegno alla politica”.

Onorevole, lei vive a Roma da quasi quarant’anni. Tuttavia non manca di ritornare a Mussomeli dove può godere dell’affetto e della compagnia di “pochi amici, ma buoni”.

“Già. Nella quiete della mia tenuta a Mappa, riesco a ritagliarmi quei momenti di intimità e umanità altrimenti negati dei quali non riesco a fare a meno. Circondato appunto dall’affetto di amicizie che ho coltivato e mantenuto sempre nel tempo”.

Dall’ars oratoria all’ars culinaria, il passo per lei è stato breve. La sua quasi ossessione per la cucina la porta a lunghe traversate via terra dalla Sicilia a Roma per potere imbarcare quella “frittella” di cui non sa fare a meno.

“E’ un altro dei miei modi di deliziare gli ospiti che ho il piacere di accogliere. A quanti mi chiedono ‘cosa devo portare?’ quando sono invitati, rispondo: ‘pitittu’”.

Poi con garbo ma altrettanta decisione, l’onorevole guarda l’ora. E’ segno evidente che la mezzora è già trascorsa. Così ci congediamo lasciando spazio a un pellegrinaggio di fedeli che fa capo a casa Cardinale non appena si sparge voce che il ministro è in paese. “Io ascolto sempre i bisogni delle persone” riferisce “poi magari sono costretto ad allargare le mani, ma mai perdere la capacità di ascoltare”.