Il Ponte sullo Stretto, secondo Matteo Salvini, dovrebbe essere “il cantiere del secolo”. Ma per ora è solo un caos. Un ginepraio tecnico, burocratico e istituzionale che si infittisce giorno dopo giorno. E che ha registrato, in queste ore, un colpo di scena inaspettato: la presa di posizione del Quirinale contro una norma infilata nel decreto Infrastrutture e poi corretta su esplicita richiesta degli uffici legislativi della Presidenza della Repubblica. Una norma – bollata come “apocrifa” – che trasferiva i controlli antimafia a una “struttura di missione” per la costruzione del Ponte sospeso più lungo del mondo (oltre 3 km), scavalcando i protocolli ordinari. Un’operazione voluta dal Mit, e cioè da Salvini, che ha fatto storcere il naso a Sergio Mattarella.

Il capo dello Stato, che raramente interviene a gamba tesa nel dibattito politico, stavolta ha fatto sentire la sua voce. Non poteva accettare l’idea – propagata da alcune testate e, con più sottigliezza, dallo stesso Salvini – che fosse stato proprio lui, con le sue obiezioni, a indebolire i controlli. Il Quirinale ha ribadito che la norma “non era presente nel testo inviato per la consueta interlocuzione istituzionale” e che l’escamotage proposto “non risultava affatto più severo delle regole ordinarie, ma anzi consentiva deroghe al Codice antimafia mai previste per opere strategiche nazionali”. Un modo elegante per dire che Salvini voleva far passare la scorciatoia come la soluzione più rigida, quando in realtà non lo era.

La replica leghista, naturalmente, non si è fatta attendere. Una nota del partito ha rilanciato l’idea di adottare “il modello Genova” per garantire controlli certi e rapidi su imprese e lavoratori. Ieri, in serata, un’altra nota per ufficializzare il disgelo: “La posizione della maggioranza, che conferma l’impegno a contrastare le infiltrazioni criminali in vista di un’opera rilevante come il Ponte sullo Stretto, va nella direzione di garantire al massimo la legalità: la lotta alla mafia è un obiettivo irrinunciabile per tutti e le soluzioni saranno adottate anche raccogliendo i preziosi suggerimenti del Quirinale. Nessuno intende venire meno alla piena collaborazione istituzionale”. Ma il clima è teso. E per una volta non solo per le polemiche con ambientalisti e opposizioni, che da anni denunciano i rischi ambientali e l’inutilità strutturale dell’opera.

Proprio il 21 maggio scorso la Commissione Via ha dato il via libera al progetto esecutivo, superando alcune perplessità su tre aree considerate a rischio d’impatto non mitigabile. Via libera che ora consente al Cipess – il comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile – di avviare la fase finale della programmazione economica. Entro poche settimane la partita dovrebbe chiudersi, per aprire – entro l’estate? – il cantiere. Nel frattempo, Salvini non ha smesso di battere sulla grancassa delle promesse: posti di lavoro, crescita economica, rilancio del Mezzogiorno. Più volte il ministro ha parlato di oltre 100 mila lavoratori coinvolti nel progetto e di migliaia di imprese attive lungo tutta la filiera. “Un’opera così importante – ha ribadito la Lega – merita il massimo dell’attenzione, per garantire legalità e trasparenza”. Una narrazione potente, quella del ponte come macchina del lavoro, destinata però a scontrarsi con la realtà: al momento, il solo cantiere partito è quello delle dichiarazioni.

Ma è proprio questo continuo rincorrersi di annunci, accelerazioni e frenate a raccontare meglio di ogni altro dettaglio la più grande delle incompiute italiane. Perché il Ponte – che sulla carta dovrebbe unire – di fatto continua a dividere. Non solo l’opinione pubblica, ma anche le istituzioni. L’ultima contestazione in ordine di tempo arriva da Angelo Bonelli, leader dei Verdi, che ha annunciato ricorsi alla Commissione europea e alla magistratura per una presunta violazione della direttiva Habitat. Il parere positivo della Commissione ambientale, secondo lui, rappresenta “una forzatura inaccettabile”.

E poi ci sono le polemiche sui soldi. La Stampa ha scritto di un taglio da 1,7 miliardi ai fondi per le Province, con un 70% in meno per la manutenzione stradale nel solo biennio 2025-26. Tagli destinati a finanziare il Ponte, secondo il quotidiano. Il Mit smentisce (“nessun trasferimento di risorse”), ma il sospetto rimane. Anche perché l’opera è già co-finanziata con 1,3 miliardi dalla Regione Siciliana, mentre altre infrastrutture, come il raddoppio della tratta ferroviaria Palermo-Catania, che permetterà di spostarsi fra le due città metropolitane in tempi accettabili (due ore) vengono “rimodulate” per via dei ritardi. Rfi assicura che i fondi non sono persi, solo riallocati, ma intanto un lotto della ferrovia – il 5, tra Catenanuova e Dittaino – esce ufficialmente dal perimetro Pnrr.

Nel frattempo, Pietro Ciucci, il gran cerimoniere della società Stretto di Messina, continua a cantare le lodi del progetto: “Un altro fondamentale passaggio è stato completato”. Ma il vero passaggio decisivo, quello che serve da trent’anni, è ancora lontano. Il ponte, nella migliore delle ipotesi, è fermo ai blocchi di partenza. Nella peggiore, è già inciampato su se stesso.