Un’altra denuncia per un presunto episodio di malasanità, al “Papardo” di Messina, dove di recente erano state sequestrate due sale operatorie da parte dei NAS; e l’ennesima segnalazione di liste d’attesa infinite, 8-9 mesi per una colonscopia, ad Agrigento. Cos’altro ci vuole per far capire al presidente Schifani che la sanità siciliana non funziona? Solo un paio di giorni fa il governatore esultava per aver ottenuto da Roma il parere favorevole alla rimodulazione del piano sanitario e lo sblocco di 800 milioni per costruire tre nuovi ospedali e adeguarne uno (il “Cervello” di Palermo). E ieri si compiaceva con Palazzo Chigi per un ulteriore stanziamento di 348 milioni a favore dell’Ismett 2 di Carini. Ma a che servono se gli ospedali esistenti rimangono sguarniti – di personale, innanzi tutto – o se le prestazioni, anche quelle urgenti, finiscono per essere erogate con scadenze bibliche?

Sulla sanità bisognerebbe ragionare a partire dalle basi. Rivalutando, forse, l’operato dei “decisori”. A piazza Ziino c’è un assessore che non si è più visto: risponde al nome di Giovanna Volo, la tecnica scelta da Schifani un paio d’anni fa per mettere la museruola al suo stesso partito, Forza Italia, che reclamava la casella più ambita dell’intera giunta. Spiacente, l’esperimento non ha funzionato. E Schifani ha potuto verificarlo ogni giorno. Gli input sono molteplici e quello di Agrigento è solo l’ultimo della lista. Stavolta, però, il protagonista gode di discreta fama: si tratta di Raimondo Moncada, artista, attore e giornalista, ma soprattutto – suo malgrado – paziente oncologico. Reduce da un tumore diagnosticato due anni e mezzo fa, e da numerose terapie, il medico gli aveva prescritto una colonscopia urgente, ma il povero sventurato si è visto rispondere picche: prima data utile il prossimo mese di agosto, a Sciacca.

Dopo aver effettuato l’esame in una struttura convenzionata, Moncada è tornato al Cup, il Centro Unico di Prenotazione, per chiedere un secondo esame diagnostico: questa volta, però, la colonscopia di controllo poteva essere fissata non prima di 9 mesi. Un’infinità per chiunque, figurarsi per un paziente oncologico. La denuncia è finita sui giornali, risvegliando dal torpore Schifani (ma non la Volo). Il presidente, infatti, ha chiesto all’assessore “di intervenire urgentemente sulla Asp di Agrigento con un’ispezione che accerti la gestione delle liste d’attesa”. “Il mio governo – ha detto Schifani – è impegnato sin dal suo insediamento per restituire dignità ai pazienti della sanità siciliana anche attraverso tempi di attesa ragionevoli per le prestazioni. Abbiamo, addirittura, inserito questo impegno tra gli obiettivi prioritari dei nuovi manager, pena la decadenza dal ruolo. Per questa ragione, ritengo fondamentale accertare tempestivamente quanto accaduto ad Agrigento per individuare gli eventuali responsabili dei ritardi e applicare le conseguenti sanzioni”.

Ad Agrigento c’è uno dei tanti manager nominati dalla politica: si chiama Giuseppe Capodieci. Che si è immediatamente scusato con il paziente per la farraginosità delle agende di prenotazione. Il Direttore amministrativo in quota Mpa, Alessandro Pucci, si è dimesso qualche giorno fa, cogliendo di sorpresa i partiti e i vertici dell’assessorato. Capodieci è uno di quelli che ogni trimestre presenta alla Regione un monitoraggio sulle liste d’attesa, il cui smaltimento – come ricordato dal presidente della Regione – è condizione necessaria per la permanenza nel ruolo. Com’è possibile che a dispetto della fase immediatamente successiva al Covid (dove il sistema aveva “rallentato” per ovvi motivi) la situazione sia addirittura peggiorata? Quali aziende sanitarie stanno riuscendo realmente – se ce n’è qualcuna – nell’impresa di snellire i tempi d’attesa? Peraltro la Regione aveva messo a disposizione un bel malloppo per coinvolgere nel piano anche le strutture private convenzionate, che avrebbero creato degli slot per eseguire visite ed esami di controllo in sostituzione degli ospedali. Qualcosa – è evidente – non sta funzionando.

A pagare potrebbero essere i manager, che la politica ha accuratamente selezionato (lottizzando le 18 poltrone in ballo); ma in quel caso a uscirne con le ossa rotta sarebbe il centrodestra, reo di aver compiuto scelte a tratti dissennate. E’ un cane che si morde la coda. Un teatrino dannoso e imperituro, con un “sommerso” preoccupante. Sono tante le persone che vengono prenotate a mesi di distanza o invitate a rivolgersi al privato, magari a pagamento, ma che scelgono di non raccontare la propria esperienza ai giornali. Eppure il problema non tange i vertici politici dell’assessorato, che rimangono a osservare dall’alto in basso senza assumere un provvedimento che abbia i caratteri dell’urgenza.

C’è in atto la rimodulazione della rete ospedaliera, il decentramento dei servizi sanitari (con le Case e gli Ospedali di comunità “inventati” dal Pnrr), gli interventi di edilizia ospedaliera che si trascinano dai tempi della pandemia. Ma non è ancora stato superato il problema atavico della mancanza di personale: è questo uno degli elementi che concorre all’aumento spropositato delle liste d’attesa. Non è certo l’incapacità di chi lavora nei Cup. Ma, per l’appunto, una questione strutturale. Irrisolta. E forse irrisolvibile.

Poi c’è la malasanità, un tema a parte. Un siciliano trapiantato in Australia, che si è sentito male a Stromboli, è stato trasportato all’ospedale “Papardo” di Messina con un infarto in corso. Sono stati eseguiti due interventi di angioplastica, con altrettante rassicurazioni da parte dei sanitari. Ai figli, in procinto di partire per l’Italia, è stato comunicato che non vi era urgenza e che il paziente sarebbe stato dimesso a breve, potendo così far rientro in Australia. Tuttavia, le condizioni dell’uomo sono improvvisamente peggiorate, rendendo necessario il ricovero in terapia intensiva a causa di un’infezione. Questo repentino declino ha portato al decesso il 17 settembre. I familiari, sospettando un’anomalia nel decorso clinico del padre, hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina, chiedendo l’acquisizione della cartella clinica, dei referti e delle schede operatorie.

Al “Papardo” sono giorni oggettivamente difficili. Nei giorni scorsi il Nucleo Antisofisticazioni e Sanità (NAS) dei Carabinieri di Catania e la Compagnia di Messina Centro hanno eseguito un decreto di sequestro, emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Messina, su richiesta della Procura della Repubblica locale, riguardante due sale operatorie del reparto di Cardiochirurgia. L’intervento delle autorità giudiziarie è scaturito da una serie di querele presentate, a partire da settembre, da familiari di pazienti deceduti a seguito di interventi cardiochirurgici presso l’ospedale. I decessi, avvenuti pochi giorni dopo le operazioni, sono stati attribuiti a infezioni contratte presumibilmente all’interno della struttura ospedaliera. I Carabinieri, delegati dalla Procura, hanno avviato indagini approfondite per accertare le cause dei decessi e le eventuali responsabilità.

La situazione della sanità siciliana, al netto dei salti di gioia per alcuni finanziamenti (anche Siracusa avrà il suo nuovo ospedale, frutto di un preciso impegno da parte della Regione), non è più sostenibile. Così come è ingiustificabile, oltre ai salti di gioia, il percorso di lottizzazione che ha contrassegnato la scelta dei manager, ma anche dei direttori sanitari e amministrativi delle Aziende. A ogni partito una casella, perché è così che si fa. Il merito e l’esperienza saranno presi in esame un’altra volta. Attualmente, per dirla con Lombardo, servivano solo degli “yesman”.