Un miracolo da calendario liturgico, più che da piano sanitario. Daniela Faraoni promette che chi ha una prescrizione urgente non finirà più in lista d’attesa. Sarà visitato subito, al momento in cui si presenta in ospedale, o al massimo entro tre giorni. Dieci, se si tratta di una prestazione “breve”. Peccato che la sanità siciliana non abbia né medici né infermieri né macchinari per reggere un impegno del genere. E cancellare le urgenze dalle liste equivale soltanto a nasconderle sotto il tappeto. Un gioco delle tre carte, che rischia di trasformarsi nell’ennesimo fallimento dell’assessorato alla Salute.
La direttiva, che l’assessora ha già inviato ai manager delle Asp, prevede le cosiddette “fast track”: come anticipato dal Giornale di Sicilia, si tratta di corsie preferenziali per chi ha un codice “U” (urgenza) o “B” (breve). La teoria è chiara. La pratica un po’ meno. Perché questi codici esistono già, e finora hanno prodotto attese da sette mesi per una risonanza magnetica. Altro che 72 ore. I numeri raccontano una realtà drammatica. Dal monitoraggio aggiornato al 30 giugno, risultano non erogate 182 mila prestazioni ambulatoriali (anno 2025 e precedenti). A queste vanno aggiunti 29 mila ricoveri programmati fino al 31 dicembre 2024. In totale, oltre 200 mila pazienti ancora in attesa. Con quale bacchetta magica Faraoni pensa di smaltire questa montagna di prestazioni?
La Regione ha stanziato a luglio 60 milioni di euro, da distribuire alle Asp per pagare le “prestazioni aggiuntive” di medici e infermieri: 100 euro l’ora ai primi, 50 ai secondi. Ma chi garantirà l’apertura serale e nei weekend degli ambulatori, quando gli stessi reparti non riescono a coprire i turni ordinari? Chi andrà a lavorare negli ospedali di frontiera, dove i concorsi vanno deserti nonostante la Finanziaria abbia previsto fino a 18 mila euro annui di incentivi per i dirigenti medici? Quella misura, approvata mesi fa, non si è mai tradotta in azioni concrete. Le Asp aspettano ancora di incassare le somme, benché il decreto sia stato emanato a giugno.
Insomma, le “corsie preferenziali” rischiano di essere un inganno. Non uno strumento per ridurre i tempi, ma per cancellare le urgenze dalle liste d’attesa ed evitare il tracollo dei manager (che allo smaltimento delle agende di prenotazione legano la permanenza sulla loro poltrona). In questo modo non compaiono più nei report ufficiali e si gonfia l’illusione di aver recuperato tutto. È lo stesso meccanismo che vanifica i cosiddetti “percorsi di tutela”, già attivati da alcune aziende sanitarie per offrire una via d’uscita a chi rimane incastrato tra tempi infiniti e carenza di slot disponibili. Il problema, in realtà, resta: occorrerebbe istruire nuovamente gli operatori dei Cup (i Centri Unici di Prenotazione), rivedere l’appropriatezza prescrittiva, assumere nuovo personale e mettere mano all’organizzazione. Tutte operazioni che non si fanno con una circolare. Né con i proclami.
E qui si inserisce la parabola politica di Daniela Faraoni, che in poco più di un anno ha collezionato una serie di iniziative finite male. A partire dalla revisione della rete ospedaliera, bocciata da sindaci e sindacati. Il 2 settembre Cgil, Cisl e Uil hanno diffuso un documento durissimo: “Temiamo che la mancanza di confronto possa portare a un vicolo cieco – hanno scritto -. Possibili errori, sottovalutazioni, approcci sbagliati possono essere evitati solo discutendo attorno a un tavolo. La Sicilia non può permettersi ulteriori stalli”. La risposta dell’assessora, che attende di riportare la rete all’attenzione della commissione Salute dell’Ars – non si è fatta attendere: “Il confronto non è mai mancato, il 21 luglio si è tenuto un incontro specifico in assessorato, con tanto di verbale”. E in ogni caso “ribadiamo la nostra piena disponibilità a proseguire il dialogo: collaborazione e lealtà reciproca sono elementi fondamentali per costruire insieme un futuro migliore per la sanità siciliana”.
La situazione generale, però, rimane grave. Anche il fronte dell’emergenza-urgenza fotografa un sistema in apnea. A gestire il 118 in Sicilia è la Seus, che nel 2024 ha registrato 427.389 interventi. Ma mancano all’appello circa 180 medici: la dotazione prevista è di 590, quelli realmente in servizio sono appena 410. Su 252 ambulanze attive nell’Isola, solo 108 hanno un medico a bordo, quando la normativa nazionale ne prevede uno ogni 60 mila abitanti. Lo ammette la stessa Faraoni: “La carenza cronica di medici d’urgenza su tutto il territorio nazionale, a cui si aggiungono le assenze per ferie e malattie del restante personale, crea problemi innegabili. È indispensabile intervenire in maniera organica per dare risposte adeguate alla nostra utenza”. Ma intanto i bandi vanno deserti. L’ultimo avviso, gestito dalle Asp attraverso graduatorie regionali, garantisce copertura solo fino a settembre. In autunno dovrebbe arrivare un nuovo bando, che includerà anche 101 autisti-soccorritori. Nel frattempo il servizio sopravvive a fatica, e la rete del 118 diventa l’ennesimo simbolo della fragilità strutturale della sanità siciliana.
E allora, più che di rivoluzione, bisognerebbe parlare di un grande bluff. Perché la montagna delle prestazioni non erogate non si abbatte con gli slogan, né con la propaganda. Si abbatte assumendo medici e infermieri (pagandoli adeguatamente, per evitare la concorrenza “sleale” dei privati); riorganizzando seriamente i servizi, dotando i presidi periferici di attrezzature e risorse. Tutto il resto è maquillage. Intanto gli obiettivi che i manager avrebbero dovuto tassativamente raggiungere restano senza risposta. Come resta senza guida l’Asp di Palermo, sette mesi dopo ancora priva di un Direttore generale. E mentre la sanità siciliana annaspa, Faraoni si limita ad assecondare le trame di Schifani e della Lega. A questo punto, verrebbe da dire: aridateci la Volo. Meglio un cartonato di un “tecnico” legato a Sammartino, che per resistere all’attacco di Forza Italia ha bisogno di dichiararsi berlusconiana.