Uno dei giochi di società preferiti dagli italiani è commentare Sanremo. Questa canzone mi piace, quest’altra è orrenda, bello quel vestito, ridicola quella pettinatura, e tutti i pettegolezzi, i dietro le quinte. Divertente e soprattutto innocuo. Si ciancia con gli amici, si twitta qualche fesseria, ed è finita lì.

C’è solo una categoria di italiani che non si limita a fare commenti sul Festival. Interviene proprio nei contenuti, suggerisce cambiamenti e qualche volta riesce addirittura a imporli, controlla la scaletta, chiede di cacciare un ospite e di invitarne un altro. Questa categoria è la politica. Ci sono politici che prendono la parola in Parlamento per mettere in guardia contro il cantante debosciato o la canzone che corrompe la gioventù. Spiegano quali sono gli argomenti ammissibili e quali no. Di che cosa è meglio parlare e di che cosa è meglio non parlare.

Ora, non sembra, ma in televisione si lavora. Fare la televisione è un mestiere. Ovviamente si può farlo meglio, si può farlo peggio, ma è un mestiere. È il mestiere degli artisti, dei conduttori, dei registi, degli autori televisivi, dei cameramen, degli scenografi, dei coreografi, dei costumisti, dei truccatori eccetera eccetera. Non è il mestiere di deputati, senatori, ministri e leader di partito. Tanto è vero che ce ne sono parecchi che per mettere su Twitter un video di cinque secondi e quattro parole di testo hanno bisogno addirittura di un apposito staff. Che cosa possono capire, e che cosa possono sapere, di come si fanno sei ore di diretta per cinque sere consecutive? Il tutto, preceduto da sei mesi di lavoro di un sacco di persone.

Per dare un’idea, è come se io stessi scrivendo un articolo, e l’editore fosse fisicamente alle mie spalle. Così, come l’umarel che sorveglia i lavori in corso. Legge quello che sto scrivendo e mi dice: leva quella virgola…. Quell’aggettivo è di troppo, toglilo…. Scusa, cancella quella frase, che mia mamma se la legge si dispiace…. E già che ci siamo, aggiungi questa frase, per fare contenta la mia mamma… Le piacciono tanto le begonie, non potresti scrivere qualcosa sulle begonie?

A un certo punto ti alzi e gli dici: senti, vai avanti tu, che sei così bravo. Siediti al computer e scrivi tu l’articolo. Altrimenti, aggiungerebbero a Roma, fatti una manica di……. tuoi.

Ecco, questa sarebbe una possibile soluzione. Andate avanti voi, che siete così bravi. Fatelo voi, Sanremo. Onorevole Zagarola (è un nome d’arte), visto che considera volgare questa canzone, ci canti qualcosa lei. Il palco dell’Ariston è suo. Prego. Ministro Calcinacci, se non le piace il monologo di Benigni, venga a dirci qualcosa con parole sue. Da solo, di fronte a quindici milioni di persone, per un quarto d’ora. Faccia lei. Meglio ancora, guardi: conduca lei il Festival. Selezioni lei le canzoni in gara.

Oppure, si potrebbe scatenare la rappresaglia. Passare al contrattacco. Quelli che fanno Sanremo dovrebbero cominciare a intromettersi nella scaletta dei politici. Insegnare ai politici il loro mestiere. Anna Oxa suggerisce a Giorgia Meloni la sua agenda: no, guardi, non vada a quel summit, è meglio quell’altro. Marco Mengoni potrebbe spiegare a quelli del Pd come si vincono le primarie. Gianni Morandi chiede un cambiamento dei lavori parlamentari, le leggi in discussione non sono interessanti, discutetene altre. Vi dico io quali. Elodie spiega alla commissione antimafia in che cosa sta sbagliando. Gianluca Grignani corregge il cerimoniale del Quirinale. Se vi sembra inverosimile, e lo è, sappiate che, a parti rovesciate, è quello che accade. Ci sono fior di ministri che spiegano al Festival di Sanremo che cosa si deve fare e che cosa si deve dire, a Sanremo. E non da oggi, eh. Da molti anni.

Sarebbe bellissimo che ognuno facesse il proprio mestiere, ma è pura utopia. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un onorevole lasci in pace chi lavora alla Rai.

Tratto dal profilo Facebook della trasmissione ‘Che tempo che fa’