Altro che Ponte. Mentre mezza Sicilia discute della disputa fra il governo e la Corte dei conti, Renato Schifani ha scelto un’altra pista di decollo: quella degli aeroporti. Il governatore, più che guardare allo Stretto, guarda al cielo. E non per ispirazione poetica, ma per calcolo politico. In Sicilia, infatti, gli aeroporti non sono semplici infrastrutture: sono crocevia di potere. E Schifani, con la sua pazienza da giurista e la sua abilità da mediatore romano, sta provando a conquistarli uno per uno.
L’occasione per rivendicare un successo arriva da Comiso, dove da ieri (e per i prossimi tre anni) sono decollati i voli in continuità territoriale verso Roma e Milano. «Garantiamo finalmente ai cittadini della Sicilia sud-orientale il diritto alla mobilità con tariffe certe e collegamenti costanti» ha detto il presidente, parlando di «risultato frutto della collaborazione tra Stato e Regione».
Un annuncio dal tono trionfale, ma che arriva dopo due anni di silenzio e promesse. Da quando Ryanair abbandonò lo scalo nel 2023, il “Pio La Torre” è rimasto in apnea, privo di voli e di strategia. Tre collegamenti al giorno – garantiti da Aeroitalia (unica compagnia a partecipare al bando) – non bastano a far rinascere un aeroporto che ancora oggi riceve un terzo dei finanziamenti garantiti a Trapani. E il cui nome viene associato, da anni, ai 47 milioni stanziati dal governo per la realizzazione di un’area cargo (già, ma a che punto siamo?). A conti fatti, è una vittoria di Pirro.
Comiso rimane una landa isolata (per non dire desolata), con pochi collegamenti via terra per le città (come Gela) che potrebbero beneficiare del suo decentramento. Eppure, alle sue spalle c’è una regia più ampia. La compagnia di gestione dello scalo ibleo, infatti, è la stessa di Fontanarossa. Si chiama SAC ed è il cuore del sistema aeroportuale siciliano. Tra i soci figura l’IRSAP, ente regionale che detiene il 12% delle quote ed esprime un commissario di nomina governativa. È da lì che passa la catena d’influenza di Palazzo d’Orléans: non un controllo formale, ma una leva effettiva sulle scelte strategiche e sulla governance.
Non è un mistero che il presidente segua da vicino la vicenda della Camera di commercio del Sud-Est, socio di maggioranza della SAC (con oltre il 60% del pacchetto azionario). Lo scorso aprile ha scritto al commissario Antonio Belcuore chiedendo di chiudere il bilancio, passo indispensabile per rinnovare le cariche camerali e, di conseguenza, i vertici della società aeroportuale (che oggi sono retti da Nico Torrisi, in quota Forza Italia). La vicenda, dopo mesi di tentativi, è tornata d’attualità proprio in questi giorni: «Mi ha scritto il commissario Belcuore – ha raccontato Schifani – segnalandomi la situazione e la procedura per il ripristino della legittimità dell’organo camerale. A breve troveremo soluzioni che salvaguardino la governance nella logica della stabilità».
Dietro il linguaggio felpato del governatore c’è una certezza: vuole mettere ordine, ma anche il timbro. Perché da quelle nomine passa il controllo di un sistema che vale centinaia di milioni. La SAC, infatti, ha avviato un’operazione di cessione del 51-66% del capitale a un partner privato, con una valutazione stimata intorno al mezzo miliardo di euro. Un progetto ambizioso, pensato per sostenere ampliamenti, digitalizzazione e intermodalità. Ma il consiglio d’amministrazione è in proroga, la governance è in stallo e le nomine sono congelate. Un contesto perfetto, insomma, per esercitare influenza politica sulle decisioni future.
Più o meno la stessa impostazione si ritrova a Palermo, dove la Gesap, società che gestisce l’aeroporto “Falcone e Borsellino”, ha avviato il processo di privatizzazione deliberato dai soci. La Regione non possiede quote, ma Schifani è intervenuto lo stesso, rivendicando un ruolo da regista: «Io mi sono sempre battuto e mi batterò, pur non avendo voce in capitolo sotto il profilo della partecipazione societaria, perché si avvii e si concluda il processo di privatizzazione». Una dichiarazione che vale più di mille analisi: Schifani si sente custode della governance, anche dove la governance non gli appartiene.
Si è visto nelle scorse settimane, quando l’assemblea Gesap ha nominato Gianfranco Battisti, ex ad di Ferrovie dello Stato (scelto da Toninelli nel 2018), come Amministratore delegato. Poco dopo è arrivata l’altra nomina, la zampata più rilevante: quella di Carmelo Scelta come Direttore generale. Due figure di esperienza, ma anche di equilibrio politico, che confermano la volontà del presidente di essere presente ovunque, anche senza quote azionarie. Non è un mistero che lo stesso Schifani, cui il sindaco Lagalla ha lasciato campo libero, si era reso protagonista prima della nomina di Vito Riggio quale Direttore generale dello scalo, e poi della sua “cacciata”, a seguito di alcuni dubbi espressi dall’ex presidente di Enac sull’abolizione dell’addizionale comunale per i piccoli aeroporti (inciso: finora ne ha beneficiato Trapani, dove Airgest – la società di gestione – è completamente in mano alla Regione siciliana).
Così, mentre il Ponte resta intrappolato tra ricorsi, pareri e promesse, Schifani costruisce un’altra infrastruttura, più silenziosa ma più solida: la rete del potere negli aeroporti. In un’isola che fatica a spendere i fondi europei e accumula ritardi su ogni cantiere, gli scali sono l’unico sistema che vola davvero. E chi li governa, governa anche il resto.


