Dopo le vicende giudiziarie che hanno riguardato la Nuova Democrazia cristiana, ci risiamo.

Sull’assessora al Turismo pende una richiesta di rinvio a giudizio, ma questa volta, al contrario di quel che è successo due settimane fa, Schifani dichiara che può restare al suo posto. Compie questa scelta il giorno stesso nel quale ha regalato a tutti i deputati la copia di un libro del segretario generale del Senato, il Codice parlamentare.

Prima di inviarlo ai suoi colleghi, Schifani lo avrà letto, ritrovando del resto molte cose che già conosceva per essere stato presidente di quel ramo del Parlamento. Oltre a conoscerle, le avrà interiorizzate e fatte proprie, a cominciare dal richiamo, non solo ai senatori ma a tutti coloro che svolgono funzioni legislative, a comportarsi con disciplina e onore, come prescrive la Costituzione, a “non ledere” – riporto il testo – “il prestigio delle istituzioni”, ad “agire con trasparenza, integrità e responsabilità al fine di prevenire qualsiasi azione o comportamento che possa compromettere il prestigio del Senato” e naturalmente di tutte le altre sedi parlamentari.

A quel Codice magari si sarà ispirato Schifani quando ha escluso dalla giunta i due assessori della Nuova Democrazia cristiana, un gesto che abbiamo ritenuto inevitabile e insieme utile a lui e alla sua maggioranza, dando il colpo di grazia ad una forza politica costruita attorno al suo “inventore”, priva di una storia e di un retroterra che la preservassero, al di là delle sue “fortune”. Con quella scelta, poi, ha messo in libertà un buon numero di voti che finiranno nel suo e negli altri partiti del centro destra.

Era facile prevedere che le vicende di natura, per così dire, morale, non si sarebbero concluse con quelle scoperte dalla magistratura che hanno riempito per molti giorni le cronache isolane e nazionali.

La morale e la coerenza possono essere intermittenti come le luci di Natale. Non si può esercitare il rigore ogni giorno. Ché a volte risulta utile, spesso è costoso.

Questa volta, con la Amata, Schifani non ha di fronte una realtà artificiosamente gonfiata di dimensioni esclusivamente siciliane, ma una forza strutturata con a capo Meloni, che quando smette di saltare per esorcizzare lo sconfinato numero di comunisti che infestano l’Italia, non va molto per il sottile.

Lei stessa quel Codice lo tiene in scarsa considerazione, i suoi li difende con vigore e grinta.

Amata appartiene al partito di Meloni e perciò può restare in giunta, insieme agli altri assessori indagati, godendo, com’è giusto, della presunzione di innocenza ma ignorando la necessità di prevenire e di sanzionare, come scrive il Codice richiamato, qualsiasi comportamento che comprometta il prestigio dell’organo parlamentare.

Si passa così da una vicenda giudiziaria all’altra e le storie di presunte malefatte diventano prevalenti nella narrazione quotidiana della Regione, prendono il posto della politica, velano ogni riflessione sulle scelte concrete che dovrebbero riguardare la vita dei siciliani.

Tutto evapora, diventa impalpabile, e anche gli scandali o quelli presunti tali che accendono la curiosità dei pochi che hanno ancora voglia di occuparsi di ciò che avviene nei cosiddetti palazzi del potere, suscitano qualche fiammata di indignazione e subito dopo lasciano spazio a ciò che segue.

Com’è possibile parare questo andazzo consueto, quali strumenti può mettere in campo l’opposizione per cambiare le cose? La mozione di sfiducia presentata in queste ore ha di sicuro il merito di avere raccolto il consenso delle due opposizioni, un risultato non scontato e da non sottovalutare, che potrà dar vita ad un confronto da tempo inesistente, mettendo in evidenza le difficoltà della maggioranza e le modificazioni intervenute con le vicende che hanno riguardato la Nuova Democrazia cristiana.

Si rischia tuttavia di far risaltare la compattezza delle forze di governo che, al di là dei frequenti scontri di potere, sostanzialmente c’è e assicura loro una tranquilla continuità.

L’opposizione, se pensa così di battere un colpo, probabilmente sbaglia o comunque ottiene un risultato improprio. A proporre la mozione di sfiducia è stato per primo Ismaele La Vardera, che sta diventando un protagonista rumoroso e improbabile della politica isolana, inserendo al suo interno aspetti anche divertenti.

Fino a qualche tempo fa il divertimento era assicurato da “Scateno” De Luca. Ne inventava una al giorno e, tra rutti, parolacce e insulti, era diventato un leader. Da un po’ il nostro risulta ammansito, si è imborghesito, è passato all’incasso, politico s’intende, e il suo posto l’ha preso proprio La Vardera, che, con metodi diversi e meno grossolani, va in giro per la Sicilia a scoprire imbrogli, a denunciare episodi di cattiva gestione delle risorse pubbliche, e degli uni e delle altre ne trova a bizzeffe. Proprio su questo costruisce una sua immagine di “giustiziere”. Naturalmente non costruisce una politica né un’alternativa, ma diventa attrattivo nel suo ruolo di “iena” trasferita in un’aula parlamentare. Denuncia scandali, si proclama vittima di possibili ritorsioni, dà fiato al dilagare del qualunquismo che porta sempre consensi magari temporanei, in una parola gioca a fare il Robin Hood di periferia, detta la linea all’opposizione dissimulando un vuoto che in natura, come in politica, non esiste.

Lo scriveva già Aristotele – notate la chicca culturale – e La Vardera colma quel vuoto registrando malefatte e cercando adesioni per il suo movimento.

Non ce l’ho con lui, che mi è perfino simpatico. Le sue denunce, tuttavia, non lambiscono la destra, e il suo protagonismo rende palese la pochezza dell’opposizione, spesso costretta a seguirlo in mancanza di iniziativa e di fantasia.

Per tornare a quanto dicevamo, i deputati regionali da qui a Natale con la strenna di Schifani avranno di che leggere. Magari qualcuno sarà sfidato ad un’impresa non consueta. In ogni caso, non dovranno prendere troppo sul serio il Codice. Per primo non ci crede neppure chi glielo ha donato, al posto di un bel paniere di panettone e spumante, che sarebbero stati certo più graditi.