“In queste ore il problema non è la certezza della pena, ma l’emergenza Covid-19″. Parola di Giuseppe Cascini, ex pubblico ministero a Roma, oggi consigliere al Csm per la sinistra di Area, che propone che escano dalle carceri al più presto tutti coloro che devono scontare ancora tre anni di pena. E che non entri neppure in cella chi è stato condannato a 4 anni ed è in attesa dell’esecuzione. La maggioranza di governo, con il ministro Bonafede in primis, ha un’idea diversa: subito ai domiciliari chi deve scontare sei mesi come già stabilisce il decreto del 17 marzo; valutazione elastica per chi si trova al confine dei sei mesi (per esempio sette); chi ha di fronte ancora da sei a dodici mesi, invece, ottiene i domiciliari previo via libera del magistrato di sorveglianza che valuta l’eventuale rischio di reiterazione del reato. Braccialetto obbligatorio per chi deve scontare più di dodici mesi: “C’è una fortissima sottovalutazione dei pericoli di diffusione del contagio all’interno degli istituti penitenziari. Chiunque conosca la realtà carceraria italiana sa bene che è impossibile assicurare dentro le carceri quel distanziamento sociale, nonché le altre misure essenziali di profilassi. I detenuti dividono le camere fra più persone, condividono i servizi, consumano pasti insieme nelle celle, gli spazi comuni sono limitati. Insomma, in carcere l’assembramento, che tutti dobbiamo evitare, è inevitabile”. Cascini non è d’accordo con Di Matteo che parla di “indulto mascherato”: “I domiciliari sono una misura alternativa e non un atto di clemenza, che come tutti stiamo sperimentando, non è certo un beneficio. Nessun indulto né altro. Anzi valuto come insufficienti le misure di Bonafede. Ripeto, in questo momento il tema è l’emergenza Covid-19 e non invece la certezza della pena”.