Negli ultimi mesi tra il presidente della Regione, Renato Schifani, e la Corte dei Conti è andato in scena uno scontro senza precedenti. La magistratura contabile, unica vera voce critica in un panorama politico a lungo privo di un’opposizione (c’è voluto lo scandalo su Galvagno per svegliare Pd e Cinque Stelle…), ha messo nero su bianco rilievi pesanti su due fronti strategici: la gestione dell’acqua e la pianificazione del ciclo dei rifiuti. Sono gli ultimi capitoli di una contesa iniziata molto prima, con le inchieste sui ritardi nella spesa dei fondi Covid per le terapie intensive, il disavanzo regionale, le inefficienze del sistema sanitario e il sistema dei controlli sugli appalti pubblici. Un rapporto di controllo dopo l’altro, Schifani ha visto trasformarsi la Corte in un fastidioso pungolo, al punto da invocare una riforma per limitarne i poteri di verifica.
La fotografia scattata dalla Corte sul fronte idrico è impietosa: il 52% dell’acqua immessa in rete va perso, con punte del 75% a Catania e del 68% a Siracusa. Morosità alle stelle, allacci abusivi, condotte colabrodo. E una beffa che sembra scritta da Kafka: l’archivio dell’emergenza idrica 2001–2006 è andato distrutto perché… si è allagato. Dighe e invasi funzionano a mezzo servizio: sette fuori uso, venti limitati per mancanza di collaudi o problemi di sicurezza, interramento diffuso.
In questo quadro, la Regione ha puntato tutto su tre dissalatori pubblici – Porto Empedocle, Gela e Trapani – per un investimento complessivo di 167 milioni fra costruzione e gestione biennale, affidati a Siciliacque, società a maggioranza privata che non versa un euro di canone alla Regione. La produzione attesa è di 9 milioni di metri cubi annui, poco più del 2% dell’acqua che ogni anno si disperde nelle reti, con un costo quasi triplo rispetto a quello dell’acqua da fonte tradizionale.
L’apertura di un fascicolo su questo fronte è stata resa nota da Schifani lo scorso marzo: «In piena emergenza siccità, è arrivata sul mio tavolo una nota della Corte dei Conti che mi formalizza l’avvio di un’azione di controllo contestuale sui provvedimenti che stiamo prendendo sulla complessa e delicata emergenza idrica. È una vicenda che mi rattrista. Fino a che punto la sua attività di controllo, che nessuno contesta, può travalicare la capacità dell’azione amministrativa?». Il governatore continua a difendere la scelta dei dissalatori, convinto che dall’estate prossima l’emergenza sarà finita, ma per la Corte il problema è strutturale e si risolve solo con la mappatura delle reti e la manutenzione degli impianti.
Anche sul ciclo dei rifiuti lo scontro è frontale. Il Piano regionale prevede la realizzazione di due termovalorizzatori, a Palermo e Catania, da 400 milioni ciascuno. I loro scarti finiranno nelle discariche, con ampliamenti già previsti per garantire la capacità di abbancamento. Per la Corte l’impiantistica è sovradimensionata rispetto all’aumento della raccolta differenziata e alle direttive europee, che fissano al 10% il limite di conferimento in discarica o incenerimento. Anci Sicilia, in audizione all’Ars, ha espresso la stessa preoccupazione. Palazzo d’Orléans rivendica di essersi mosso nel solco del Consiglio di Stato e della Commissione europea, ricordando che impianti analoghi funzionano già in tutta Europa, ma i magistrati chiedono chiarimenti documentati su dimensionamento, tipologia e finanziamento.
Sul capitolo sanità, la Sicilia ha ricevuto somme importanti per la costruzione di nuovi reparti di terapia intensiva negli ospedali. «I profili d’inefficienza e di diseconomicità nell’utilizzazione delle risorse finanziarie hanno generato un fabbisogno finanziario aggiuntivo di settanta milioni di euro», scrive la Corte, che segnala gravi inadempienze e ritardi. Schifani ha accusato i magistrati di aver valutato dati sbagliati, dando vita a un botta e risposta durato giorni. Il quadro si allarga: referti in ritardo, liste d’attesa infinite, disavanzo senza coperture, bilanci aziendali non chiusi, farmaci scaduti. In undici pagine, la Corte parla di “drastico peggioramento” e di inappropriatezze organizzative.
Il governatore, dal canto suo, ribadisce che i giudici contabili dovrebbero essere nominati “di concerto” con il governo regionale, come prevede lo Statuto, ma «questa norma non è mai stata rispettata». Tradotto: cambiare i controllori per avere controlli più “collaborativi”. E se c’è un filo che unisce tutti questi capitoli, è la vocazione di Schifani a concentrare su di sé ruoli e poteri: presidente e, a seconda delle emergenze, commissario per la siccità, per le autostrade, per i rifiuti. Un presidente che ama accentrare e dirigere, ma che, di fronte a ogni rapporto scomodo, vede un ostacolo da aggirare o un nemico da disinnescare. Con un dettaglio non trascurabile: la Corte dei Conti, a differenza dei franchi tiratori dell’Ars, non si impallina con un voto segreto.