Tra dieci anni, nel 2035, percorrerò il Ponte sullo stretto. Continuo ad esserne certo malgrado quegli impiccioni degli americani stiano tentando di mettere i bastoni tra le ruote della più grande opera del mondo che Salvini regala al futuro dell’Italia e in particolare a quello del Mezzogiorno.
Sono anche certo che, rientrando in quel 5% di spesa militare al quale ci siamo impegnati, l’opera renderà più agevole la difesa dei sacri confini della Patria.
Ci spero anche perché se questa ipotesi di “contabilità creativa” dovesse passare superando l’ostilità della NATO, il concetto di infrastruttura strategica potrebbe estendersi ad altre meno importanti e tuttavia utili per respingere il nemico.
Perché non dovrebbe essere ritenuta strategica e pertanto totalmente rifatta la strada che collega Sciacca al mio paese? Le cento curve che si contano in diciassette chilometri già renderebbero arduo il passaggio dei carri armati, che con i barconi arriveranno dall’altra sponda del Mediterraneo ad invadere prima l’Isola e poi l’intera Europa. Ché da quella parte del mondo sicuramente potranno venire i nemici, non dalla “pacifica” Russia come qualcuno scioccamente teme, almeno finché lo garantiscono la stretta amicizia e la profonda solidarietà che lega Salvini a Putin.
Il Ponte sullo stretto lo considero come già fatto, come uno dei successi più rilevanti della politica nazionale e regionale. È una delle certezze delle vicende isolane, vicende che seguo con permanente interesse dai miei lontani giovani anni. Ed annoto che oltre al Ponte un altro gradito dono del migliore ministro italiano, così Schifani definisce Salvini dopo avere contestato legalmente un suo provvedimento – e se lui è il migliore, non oso pensare a tutti gli altri –, un gradito dono è la scelta di una ex parlamentare europea bocciata alle ultime elezioni come commissaria straordinaria dell’autorità portuale della Sicilia occidentale.
Qualcuno, a cominciare dal presidente della Regione, ha eccepito che non ha alcuna conoscenza dei problemi da affrontare. A volte ci si attacca alle minuzie. Imparerà. Intanto sa già, ed è quello che conta, che dovrà gestire l’ente come una “longa manus” di Salvini e di Meloni. Non avrà competenze tecniche, la ex parlamentare europea, e malgrado sia avvocata non ricorda bene la differenza tra dipendenza organica dal ministero delle Infrastrutture e vigilanza. Sa certamente, ed è ciò che conta, che è stata messa lì perché è leghista e perché così ha voluto il capo dei leghisti.
Un’altra certezza della politica siciliana, tra quelle che le danno senso e producono risultati concreti, è il contrasto permanente da quarant’anni a questa parte tra Lombardo e Cuffaro.
Ché se stanno ancora lì, ad esercitare un ruolo rilevante, è perché sono bravi, ma anche perché la vecchia Democrazia cristiana ha lasciato in eredità alla seconda Repubblica una classe dirigente numerosa e capace. Almeno se si confronta con quello che è venuto appresso.
Poi, guardando sempre a ciò che capita, si scorge un governo che non governa nulla ma è capace di occupare la scena mimando di governare. Le forze politiche che lo compongono litigano ogni giorno ed ogni giorno rappresentano parti diverse in quest’opera buffa.
Ne viene fuori una cacofonia alla quale nessuno presta attenzione e che passa così inosservata.
Dietro le quinte, di tanto in tanto, sulla scena con timidezza si affaccia quella che dovrebbe essere l’opposizione. Il Partito democratico, defilato e in silenzio, per evitare di disturbare occupa i due lati del sipario: da una parte con i tre deputati che fanno riferimento al segretario regionale e dall’altra con i restanti otto che non lo riconoscono. L’importante è che non disturbino più di tanto chi finge di governare.
Poi, la scena si anima, la recitazione diventa più chiara e squillante: tutti insieme, governo e Assemblea, attendono di discutere il nuovo provvedimento finanziario che le malelingue chiamano “delle mance”.
Così vanno le cose della politica in Sicilia, o per meglio dire, così vanno le cose che vengono chiamate politica.