Ci vorranno parecchi mesi prima che la Corte dei Conti definisca l’ammontare dei danni provocati alla Regione da un sovrintendente che per un anno ha amministrato abusivamente l’Orchestra Sinfonica. Danni a grappolo. Anzi, una sequela di atti illegittimi, di spese prive di copertura, di contratti firmati ma privi di qualsiasi validità. Per la magistratura contabile si profila una fatica fuori dall’ordinario. Bisognerà esaminare attentamente le poste di bilancio, convocare sindaci e revisori dei conti, ascoltare gli artisti ingaggiati per i concerti, interrogare gli amministratori – sia il presidente, che si è subito dimesso, sia quelli che sono rimasti in sella – e poi stabilire, ai fini del risarcimento, le responsabilità individuali.

Il tutto per un capriccio, chiamiamolo così, di un pagnottista, Andrea Peria, che dopo avere accompagnato e servito Renato Schifani nella campagna elettorale per la conquista di Palazzo d’Orleans, ha preteso giustamente in premio, anche se non l’ha mai chiesto esplicitamente, un incarico di sottogoverno adornato dal massimo prestigio e da una solida remunerazione.

Schifani, in preda all’entusiasmo per l’inattesa elezione a presidente della Regione, non si è sottratto al dovere di riconoscenza. E, di concerto con Elvira Amata, assessore al Turismo e allo Spettacolo, ha nominato Peria al vertice dell’Orchestra Sinfonica. Sembravano tutti felici e contenti, sia il Principe che il Pagnottista. Ma né l’uno né l’altro si sono accorti di un dettaglio: che Peria, al momento della nomina, mangiucchiava già in altri piatti imbanditi con abbondanza di denaro pubblico: era presidente del Corecom, un ente perfettamente inutile che gli assegnava e gli assegna tuttora uno stipendio di 3.750 euro al mese; era consigliere regolarmente remunerato dell’Unioncamere e anche patron di uno spelacchiato festival, in quel di Morgantina, finanziato dalla Regione. Una somma di incarichi in contrasto, manco a dirlo, con una legge del 2012 la quale fissa categoricamente, per la Sinfonica, il principio della “esclusività”: in base a quella norma il nuovo sovrintendente, prima di accettare la nomina, avrebbe dovuto spogliarsi di tutti gli altri incarichi.

Ma Schifani, la Amata e Peria erano troppo distratti in quel momento per ricordarsi della legge varata da Raffaele Lombardo nel 2012. E sono andati avanti tranquillamente. Fino a quando il presidente della Fondazione alla quale fa capo l’orchestra, Gaetano Cuccio, non ha messo tutti, con le sue dimissioni, di fronte alla illegittimità della nomina. Un’asineria – chiamiamola amorevolmente così – che di fatto sottoponeva l’orchestra al rischio di perdere il finanziamento regionale di undici milioni e, conseguentemente, di chiudere baracca per sempre.

Un disastro. Che avrebbe dovuto subito allarmare i protagonisti di questa insulsa commedia del malgoverno. Ma né Schifani, né l’assessore Amata, né il sovrintendente abusivo hanno avvertito il bisogno di calare il sipario sulla storiaccia della Sinfonica. Peria, addirittura, ha cercato di salvare la propria immagine, già abbondantemente logorata, con due mosse, una peggiore dell’altra: ha pompato oltremisura l’arrivo al Politeama di Beatrice Venezi, la direttrice d’orchestra tanto cara alla premier Giorgia Meloni; e subito dopo, nella speranza di guadagnare il terreno perduto con la dimissioni di Cuccio, ha comunicato alla stampa il “gran gesto” della rinuncia allo stipendio di sovrintendente (poco meno di novemila euro al mese).

Sceneggiate inutili, dispersive, farlocche. Che ovviamente non potevano e non hanno cancellato il peccato originale di una nomina nata male e cresciuta peggio tra finzioni inciampi e piritollaggini. C’è voluto il coraggio e la lealtà di Giovanni Bologna, capo dell’ufficio legale della Regione, per far capire anche ai sordi e ai ciechi di Palazzo d’Orleans che quella nomina era illegittima e che il sovrintendente abusivo doveva fare gli scatoloni e lasciare di gran fretta gli uffici del Politeama.

Spetterà ora al commissario Margherita Rizza, nominata ieri, raccogliere i cocci di una devastazione durata un anno; di una commedia scritta con i caratteri dell’arroganza – o dell’asineria – da un presidente della Regione elevato al ruolo di Principe e da un pagnottista che voleva sentirsi un colto sovrintendente, esperto di musica e musicanti.