Acquisito il risultato elettorale, in attesa della ripartizione dei seggi, nel gioco dell’oca di Forza Italia siamo tornati alla casella di partenza. Sembra già una corsa al riarmo. Il sorpasso a Fratelli d’Italia, la splendida affermazione di Tamajo e Falcone – almeno in termini numerici – e il ritorno del voto d’opinione (nonostante non ci sia più Berlusconi), sono in parte rovinati dal clima di tensione che si registra fra gli azzurri. I quali, non più abituati a vincere, se le danno di santa ragione. Al netto della iperbole (voluta), nasce tutto dalle dichiarazioni della “minoranza” di Falcone, che oltre alla soddisfazione per le centomila preferenze, evidenzia una diversità di vedute e di metodo su cui, nei prossimi giorni, “ci sarà modo di confrontarsi”.

L’avvertimento è sganciato da Giorgio Mulé ancor prima della proclamazione degli eletti e delle decisioni assunte (se restare a Palermo o andarsene a Bruxelles). Per questo conferma l’opinione iniziale: che questo appuntamento elettorale fosse – soprattutto – un modo per sfidarsi e contarsi. A recitare la parte del tenero agnellino indifeso è il governatore Renato Schifani, che si gode la vittoria di Tamajo. Indispettiti, per non dire inferociti, i commenti dall’altra parte della barricata. “Ho toccato con mano l’entusiasmo e l’impegno dei nostri candidati – ha detto il vicepresidente della Camera dei Deputati, Giorgio Mulè – e voglio dare in particolare atto a Caterina Chinnici e Marco Falcone (solo a loro due, ndr) di essere stati veri e leali interpreti dei valori di Forza Italia: hanno raccolto consensi senza alcun “aiutino” da parte di movimenti ospiti della nostra lista, lontani da strategie interne dei vertici locali del nostro movimento palesemente indirizzate verso il sostegno ad altri candidati”.

Parole che ricalcano quelle di Marco Falcone. Dopo aver tentato di mascherare (invano) la lotta fratricida con Tamajo durante la campagna elettorale, l’assessore all’Economia sottolinea come “siamo riusciti ad aggregare energie azzurre e progetti senza l’apporto di nessun altro partito o movimento ‘ospite’ in Fi. Si direbbe ‘soli contro tutti’. Su questi aspetti e sui numeri sono già aperte le riflessioni interne al nostro movimento”. Ma c’è un’altra voce fuori dal coro che alimenta il sospetto di scorribande acclarate. E’ quella di Raffaele Lombardo, che non è organico a Forza Italia ma avrebbe preteso – così come Tajani – una “preferenza di dignità” (ma non si può certo dire “identitaria”) nei confronti della sua candidata, Caterina Chinnici: “E’ fuor di dubbio che l’apporto del Movimento per l’Autonomia ha determinato, in misura significativa, il primato di Forza Italia in Sicilia ed il successo di Caterina Chinnici che, con oltre 90 mila voti di preferenza, si afferma come vincitore morale della competizione”.

Poi la frecciata a Schifani (e Cuffaro): “Siamo stati, di gran lunga, i maggiori sostenitori della scelta del segretario nazionale Antonio Tajani di affidare all’onorevole Chinnici il posto di capolista nel collegio della Sicilia e della Sardegna.  Mentre – prosegue Lombardo – va tenuto presente che a cercare di intaccare il valore di quella scelta si è operato mettendo in campo certe terzine ‘ad excludendum’ della capolista”. Lombardo, pur non essendo organico, chiede “di potere esprimere più efficacemente il programma autonomista nell’alveo di Forza Italia e del Partito Popolare Europeo”. Insomma, si preannuncia una bella battaglia. In campo, forse, rimarranno solo tajanisti contro schifaniani. Ma fin qui hanno avuto diritto di parola anche gli ospiti come Lombardo e Cuffaro, quest’ultimo considerato “colpevole” di aver dato un aiutino a Tamajo e agevolare così Schifani e Caruso nella difesa del feudo.

Nulla di più vero. Molti esponenti regionali della DC, oltre a Massimo Dell’Utri, si sono dimostrati aperti e sensibili nel recapitare preziose preferenze verso l’assessore alle Attività produttive, pur nella consapevolezza che l’aiutino avrebbe provocato lo spostamento della bilancia da una parte e dall’altra. Per usare un termine caro a Rita Dalla Chiesa (anche se l’ambito è un altro) i voti di Cuffaro potrebbero aver “inquinato” la competizione interna, provocando uno squilibrio che toccherà a Tajani sanare. Vale la pena notare che Tamajo ha ricevuto una spinta anche da Totò Cardinale, voti utili a tenere botta nel Catanese. Da parte sua Schifani fa spallucce e affida le proprie considerazioni a una nota tutta da interpretare: “Una percentuale del 23 per cento prima era imprevedibile e impensabile: lo si deve evidentemente a un partito unito, a un’azione nazionale di Antonio Tajani e Marcello Caruso. E aggiunge: “Il nostro partito è il naturale punto di incontro dei moderati di ispirazione liberale ed europeista e confermano la Sicilia come storico bacino di consensi per Forza Italia. Così come il numero di preferenze ricevute da tutti i candidati e le candidate della lista testimonia il loro grande impegno e radicamento”.

Radicamento, forse, è la parola meno adatta. Non è radicata la Chinnici, non è radicato Lombardo, non è radicato Dell’Utri e tanto meno Cuffaro. Non c’entrano con Forza Italia. Hanno solo approfittato della situazione per unire le forze e dare una sonora legnata ai patrioti. Hanno testimoniato, insieme, che il centro, in Sicilia, ha un peso determinante e, da oggi, ancora più ambizioso. Hanno dimostrato che senza i loro voti il governo non esiste, e quindi bisogna trovare delle giuste contropartite se Schifani vuole assicurarsi lealtà fino alla fine dei cinque anni. Un anno e mezzo è già passato senza squilli di tromba. Magari, da domani, cambia tutto. O forse no.