Salvatore Barbagallo ha lasciato il governo con una lettera accorata, nella quale ha rivendicato l’impegno profuso e i progressi avviati, pur senza nascondere l’amarezza per la riforma dei Consorzi di bonifica rimasta al palo. Una scelta “personale”, quella delle dimissioni, che da lunedì lascerà scoperta la casella dell’Agricoltura. Ma dietro il dato di cronaca si muove la vera partita politica: il ritorno di Luca Sammartino, il golden boy della Lega siciliana, già costretto a fare un passo indietro per affrontare il processo per corruzione – era stato sospeso dai pubblici uffici – e ora pronto a rientrare al suo posto.
Non è un avvicendamento qualsiasi. È il segnale che Renato Schifani, dopo avere blindato il rapporto con Raffaele Lombardo nominando Luigi Genovese all’Ast, si appresta a soddisfare pure le aspettative di Totò Cuffaro. Sammartino non è solo un esponente leghista – da sempre più autonomo che dipendente dalle benedizioni di Salvini – ma soprattutto il suo alleato di ferro, quello che garantisce all’ex governatore centrista un avamposto decisivo dentro la giunta regionale. Un ritorno che accontenta la Democrazia Cristiana e che, di riflesso, ridisegna la geografia dei rapporti interni al centrodestra.
Sul piano nazionale, però, la faccenda è più complicata. Perché Schifani si trova a restituire una delega importante alla Lega nel momento stesso in cui era parso in rotta di collisione con il leader del Carroccio. La nomina di Annalisa Tardino all’Autorità portuale di Palermo, decisa direttamente da Salvini senza alcuna concertazione con la Regione, aveva scavato un solco. La scelta di rinunciare alla sospensiva davanti al Tribunale amministrativo – pur restando in attesa dell’udienza fissata a gennaio – ha contribuito a distendere i rapporti, ma resta una tregua fragile e tutt’altro che definitiva.
In questo contesto, il ritorno di Sammartino rischia di assumere contorni ambigui. Per Schifani è la dimostrazione di avere ancora in mano le chiavi della giunta: decide lui chi entra e chi esce, anche dentro la quota leghista. Per Salvini, invece, è il segnale che il deputato catanese gioca una partita autonoma, più legata agli equilibri isolani che alla linea nazionale. Non a caso Sammartino non ha speso parole pubbliche per sostenere la Tardino, anzi: in passato l’aveva emarginata, prima costringendola alle dimissioni da segretario regionale, poi puntando tutto su Raffaele Stancanelli. Oggi, rientrando in giunta, rafforza la sua leadership personale ma rischia di indebolire quella del ministro sull’Isola.
Il paradosso è che Sammartino, pur essendo formalmente l’uomo della Lega, in questa fase sembra più vicino a Schifani che al suo “capitano”. Un paradosso che potrebbe fargli gioco: lo tiene agganciato al governo regionale, ma gli offre anche un margine di manovra per sganciarsi, il giorno in cui decidesse di cercare nuovi approdi politici. I suoi voti lo seguirebbero comunque, come già accaduto nelle precedenti transizioni.
Intanto, però, ci sono dossier concreti e pesanti. L’assessorato all’Agricoltura non è terra di conquista solo per la visibilità politica, ma per la mole di problemi irrisolti: siccità, crisi idrica, affanno nell’utilizzo dei fondi comunitari. E soprattutto la riforma dei Consorzi di bonifica, già affossata in aula con un voto segreto che ha smascherato il fuoco amico. Toccherà a Sammartino rilanciarla, sapendo di avere contro non solo le opposizioni, ma anche pezzi consistenti della maggioranza, compresi forzisti e autonomisti che mal digeriscono la sua influenza. Non sarà una passeggiata.
C’è poi la delega ai rapporti con il Parlamento regionale, che Schifani aveva pensato di affidargli già mesi fa. Una funzione cruciale, quasi una spada di Damocle, perché nel caos del centrodestra ogni norma rischia di trasformarsi in un campo minato. E in aula, fin qui, non ha prevalso la cultura della coalizione, bensì la coltura del proprio orticello: motivo per cui l’unico tentativo di venirne a capo è offrire ai 70 deputati copiose mance per soddisfare la propria ricerca di consenso. Sarà Sammartino l’uomo giusto per garantire equilibrio ai rapporti fra il governatore e i partiti, e ai partiti stessi del centrodestra?
Schifani sembra convinto di sì (ma su questo aspetto le carte rimangono coperte). Con le ultime mosse – il patto di ferro con Lombardo e il ritorno in giunta del pupillo Luca – si sente blindato. Ma dovrà ancora combattere la resistenza interna: franchi tiratori pronti a colpire, pezzi di Forza Italia insofferenti. Blindato a parole, ma vulnerabile nei fatti.
La verità è che, nell’Isola, tutti si usano. Cuffaro si assicura la continuità del suo uomo di fiducia, Lombardo ha già incassato la sua ricompensa, Schifani prova a equilibrare i vasi comunicanti (e a garantirsi una “cortina di ferro” in vista dei prossimi appuntamenti: il congresso regionale di Forza Italia e le elezioni del ’27), Salvini si tiene un piede dentro senza arretrare di un millimetro. In mezzo, Sammartino si muove da abile equilibrista, pronto a spendere il suo bottino di voti e la sua rete di rapporti personali per restare decisivo. È tornato il golden boy, ma stavolta l’agricoltura è solo il pretesto: la vera partita si gioca tutta sulla pelle dei rapporti di forza dentro il centrodestra.