Totò Cuffaro e Mirello Crisafulli, sfruculiati dal nostro direttore, hanno dato prova di essere rimasti due personaggi di peso. Hanno ancora qualcosa da dire, come è normale per persone intelligenti e con una lunga storia alle spalle. Dubito abbiano ancora qualcosa da fare. Non sono sicuro che l’entusiasmo e la tenacia di Cuffaro riescano a rianimare la Democrazia cristiana. Egli può semmai contribuire a riprendere il filo del racconto di una vicenda che i nostri errori, quelli di noi democristiani, hanno segnato e la capacità di dannarne la memoria di quelli che ci vinsero e prima di poter alzare lo stendardo se lo videro strappare di mano dalla destra, hanno riscritto, spesso deturpandola.

Non sono per niente certo che la passione e l’efficacia delle battaglie di Crisafulli per il suo territorio possano essere proseguite da quelli che oggi rappresentano il mio e il suo partito, leggeri ed evanescenti come molti di loro sono. I due “zii di Sicilia”, che si sono incontrati a pochi passi dal museo di Aidone, rischiano di apparire reperti di un tempo antico, sicuramente di valore e perciò non più commerciabili.

Si specchiano, Cuffaro e Crisafulli. Si elogiano, un po’ rimpiangono il tempo del loro protagonismo, rischiano di apparire veri e propri maramaldi se confrontati con quelli che oggi reggono, si fa per dire, le leve della politica siciliana. Troppo facile. Non c’è confronto. Nel bene e nel male. Nella capacità e negli errori commessi o a loro attribuiti. Nella filiera dei due da una parte c’è chi, quasi al termine della propria esperienza alla presidenza della Regione, cerca ancora le responsabilità del predecessore – e sono tante – o le scarica sui cittadini che bruciano i boschi, sporcano le città e non si vaccinano.

Che poi una parte di loro brucia, sporca e non si vaccina è proprio vero. Ma le loro malefatte non assorbono né cancellano quelle di chi dovrebbe porvi rimedio. Ché dovrebbe tentare di farlo, non potendoli sostituire con norvegesi pieni di senso civico. Nel 1876 Leopoldo Franchetti propose semmai di sostituire non i siciliani ma i componenti della classe dirigente dell’Isola con personalità del Nord del Paese, un’operazione sicuramente antidemocratica ma tecnicamente più facile da realizzare. Nella filiera di Cuffaro c’è quella pletora di voltagabbana che, non credendo neppure all’acqua bollita, vagano da un partito all’altro, i più scegliendo Salvini, senza riflettere a fondo su un tipo che non tiene botta, è ambivalente, bulimico al punto che arriva a non digerire tutto ciò che ingerisce, vorrebbe stare al governo e all’opposizione, sostenere la vaccinazione e chi non la vuole, l’Europa e i governi polacco e ungherese. Finisce per non avere un disegno, una linea, una riconoscibilità. Dimostra di non essere un uomo di governo. Altri guardano con speranza di personale sopravvivenza a “io sono Giorgia”, che vorrebbe cinturare i mari e così separarci e metterci al sicuro anche dai profughi afghani, che il mare non hanno.

Sulla filiera di Crisafulli c’è chi, dopo avere stravinto le ultime elezioni, insieme all’assenza di cultura e di progetto, vede svanire nel nulla il nugolo di consensi e si nasconde dietro la mancata individuazione di un capo per non fare alcuna scelta, ché scegliere non è nelle corde del Movimento di Grillo. C’è chi, a capo di un partito di sinistra, propone l’alleanza elettorale con il sindaco di Messina, ritenendo probabilmente che la briosa sguaiataggine del personaggio interpreti il moderatismo isolano.

Insomma, la simpatia, la stima per Cuffaro e per Crisafulli, specialmente quando quest’ultimo propone “un’alleanza per mettere fuori gli incapaci” e mi ricorda giusto la storia di quel tale che suggerì “la morte ai cretini” a De Gaulle, sentendosi rispondere dal generale: “caro amico, il suo programma è troppo ambizioso”. La simpatia e la stima per i due “zii di Sicilia” mi provocano un po’ d’invidia che tuttavia non mi induce ad utilizzare la tediosa espressione “com’erano belli i nostri tempi!”. La frase mi dà il senso della vecchiaia e dell’incapacità di guardare avanti e mi spinge a rispondere sempre che la cosa certamente bella di quei tempi era la nostra giovinezza.

Datemi l’occasione di confrontarmi con un mio coetaneo, se ancora ve ne sono. Non sarò un reperto museale, anche se di musei ne gestisco due. Sarò solo un soggetto vintage. Anch’io in grado forse di maramaldeggiare.