Non ci sono più i gesuiti di una volta. Non tra quelli consacrati. Figuriamoci tra quelli di complemento, epigoni di varia specie.

Caro maestro Sottile, ti scrivo a proposito della tua “Operetta immorale” di ieri, dal titolo “Sergio e Leoluca nella città-inferno” in cui metti a confronto il capo dello Stato Mattarella e il sindaco di Palermo Orlando, due famosi discepoli dei gesuiti. E poiché, come dice Sant’Agostino “le parole volano e gli esempi trascinano”, a corredo del pezzo pubblichi la foto dei due insieme, “così vicini e così lontani”, anzi “agli antipodi”, come specifichi nel testo.

Ti rispondo con altre foto – tre – e una riflessione che, mi scuserai, parte da più lontano.

Prendi “Civiltà Cattolica”, come recita il frontespizio “la rivista più antica in lingua italiana, 1850”. Come sai, con un articolo dello scorso 15 gennaio la rivista dei gesuiti è riuscita a fare insorgere parecchie associazioni cattoliche su temi sensibili come la legge sull’eutanasia. A firmare l’articolo sul “suicidio assistito” è sceso in campo il molto reverendo padre Carlo Casalone, Provinciale d’Italia della Compagnia di Gesù, medico componente della Sezione scientifica della Pontificia Accademia per la vita e docente di Teologia morale alla Università Gregoriana. Casalone con gesuitica “pacatezza” di scuola italiana, lima il detto bergogliano e dichiara che loro, i gesuiti, sono “ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise, essendo diverse le visioni del mondo”.

Se pure il Padre Provinciale d’Italia riesce ad agitare le acque, già non proprio placide, della chiesa militante, pensa il dibattito che si è aperto sulla foto – questa è la prima che ti propongo – del gesuita Jorge Maria Bergoglio mentre esce, due settimane fa, da un negozio di dischi nel centro di Roma, “vescovo vestito di bianco” con un bianco sacchetto in mano.

Per carità, non c’è nulla di strano ad andare a benedire un negozio come un prete qualunque e a uscire con un pacchetto. Il punto è che a cogliere l’attimo fuggente con foto diventate subito “virali” – si capisce – è stato Javier Martínez-Brocal, fotoreporter e giornalista spagnolo, tra i più accreditati in Vaticano e a Santa Marta.

Per di più Martínez-Brocal ha subito “cinguettato” la sua fortuna: “Hoy iba por la calle y me he encontrado con el Papa en una tienda de discos. Tal cual”. Ha voluto specificare che a Roma, non proprio un villaggio, lui passava per caso al momento giusto per fotografare Bergoglio in incognito. Vedi che coincidenza.

Passando da palo in frasca e da foto in foto, ieri un’altra immagine è diventata subito “virale”. E’ quella del materasso del capo dello Stato in fase di trasloco da Palermo a Roma, la città dove Sergio Mattarella ha deciso di vivere a fine mandato. Trasloco che con tempestività si attua mentre sono in corso le votazioni per eleggere il futuro presidente della Repubblica.

Ma non sono le foto del comò o di altri mobili o suppellettili a fare presa sull’opinione pubblica. E’ il materasso. Perché “il materasso, il materasso è il massimo che c’è”, come direbbe Renzo Arbore, autentico talento italiano nello spettacolo e nella comunicazione, appena insignito proprio da Mattarella del titolo di Cavaliere di Gran Croce. Perché il trasloco del materasso fa tanto “uno di noi”, uno che non pensa di comprarlo nuovo a Roma. Seconda coincidenza.

Proprio come in un’altra foto scattata lo scorso autunno, quando Sergio Mattarella, alla ricerca di una casa a Roma per il dopo Quirinale, ha acconsentito a un “selfie” con la signora in quel momento inquilina dell’appartamento, invero stupita dal ritrovarsi la più alta carica dello Stato a subentrarle nell’affitto.

Scatto immediatamente finito su social e giornali – terza coincidenza – a dimostrare la volontà del presidente di lasciare subito il Palazzo abitato pro tempore e la sua vocazione a essere “uno di noi”, uno che si è ritrovato senza barbiere durante il lockdown, come a suo tempo abbiamo saputo da un provvidenziale “fuori onda”.

Mi fermo qui, caro Sottile, perché – da maestro della citazione quale sei – non ti sfuggirà la più famosa tra quelle di Agatha Christie: “Una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze fanno un indizio, tre coincidenze fanno una prova.”
Prova di che, me lo dirai tu. Con viva e vibrante soddisfazione da parte mia.