Un governo che tira a campare

Antonello Cracolici, deputato regionale del Pd, rivendica alcuni successi ottenuti da assessore col governo Crocetta

La relazione di metà mandato del presidente della Regione ha lasciato qualche scoria nel rapporto con le opposizioni. Il Movimento 5 Stelle, alla vigilia del dibattito di mercoledì pomeriggio, ha annunciato una mozione di sfiducia nei confronti di Musumeci. Il Partito Democratico, invece, è più cauto. Ma non rinuncia all’offensiva. Specie con Antonello Cracolici, che in aula ha parlato di un governatore tutto “chiacchiere e distintivo”, citando “Gli Intoccabili” di Brian De Palma. Rispetto al passato, però, emerge un elemento di novità: il ritorno in aula da parte del governatore dopo un lungo periodo d’assenza. “Musumeci non viene perché ha paura del parlamento, non perché gli sta antipatico – è l’esordio di Cracolici –. La verità è che non ama il confronto. La sua narrazione è costruita su un’idea statica della Sicilia. E quindi il parlamento, che per sua natura è lo specchio rappresentativo di una realtà complessa, risulta un luogo di fastidiosa negazione delle sue certezze”.

Almeno dia atto a Musumeci di averci provato. Una settimana fa si presentò in aula cercando di stigmatizzare i toni del passato. Perché non la convince?

“Come quelli che non amano i processi partecipativi, anche Musumeci disprezza il parlamento e lo reputa un luogo in cui si perde tempo. Come nel Ventennio. Purtroppo una certa cultura politica tende a rigenerare modelli già visti”.

Ha contestato pure lo slogan “diventerà bellissima”. Ognuno ha diritto a scegliersi lo slogan che più gli piace. O no?

“Per carità. Ma io lo contesto perché la Sicilia è già bellissima”.

Fu il giudice Borsellino a usare per prima quell’espressione.

“Borsellino, però, parlava della possibilità di liberarsi del fenomeno mafioso, della sua cultura e della rassegnazione che in alcuni momenti della storia ha pervaso la nostra società di fronte ai delitti più atroci. Indicava la strada per reagire a quella che sembrava stesse diventando l’identità statica del popolo siciliano. L’utilizzo che ne fa Musumeci è un altro”.

Quale?

“Secondo me è sbagliato il presupposto. Se dici di farla diventare bellissima, è come se tu suggerissi, a quelli che la credono già tale, che non lo è. E invece la Sicilia è già bellissima, soprattutto all’estero. Parliamo di una terra conosciuta in tutto il mondo. Nessuno sa dov’è il Lazio o la Lombardia, l’Emilia Romagna o la Calabria. Tutti sanno dov’è la Sicilia. Per uno che aspira a governare questa Regione, non ammetterlo equivale a un errore”.

Al di là della filosofia di concetto, la Sicilia di Musumeci potrà diventare bellissima?

“Dopo due anni e mezzo – non è soltanto la mia convinzione ma di una larghissima fetta di siciliani  – resta un governo del nulla. In molti avevano votato Musumeci ritenendolo un uomo serio, un buon presidente di provincia che non eccedeva nella retorica della politica, una persona credibile. Ma anche chi l’ha votato e sostenuto, oggi è deluso. Soprattutto per il modo estemporaneo con cui si relaziona alle cose siciliane”.

La relazione di Musumeci è piena di cose fatte. E’ durata oltre un’ora e mezza.

“Non esiste un governo che dopo due anni e mezzo non sia in grado di raccontare quello che ha fatto”.

Crede abbia “scippato” qualche merito a chi c’era prima, cioè a Crocetta?

“Anche il peggior governo sulla Terra, ha fatto delle cose. Il governo per sua natura governa, quindi agisce. Magari sbaglia. Il problema non è quante cose hai fatto, ma in che direzione sei andato, cosa hai prodotto. C’è un paradosso in questa storia: in quello che Musumeci ha raccontato, c’erano moltissime leggi e attività di cui si è occupato il precedente governo. Io ho usato l’esempio della diga di Pietrarossa: un’opera ferma da 25 anni e grazie a qualcuno che ha osato metterci la faccia, come il sottoscritto, oggi Musumeci potrà dire di aver sbloccato un’infrastruttura che servirà a irrigare l’intera piana di Catania”.

E’ la continuità amministrativa, bellezza.

“Guardarsi allo specchio e dirsi da soli quanto si è bravi, dimenticando i meriti di chi c’è stato prima, corrisponde a una propaganda di basso cabotaggio. Se lo stile è questo, anche chi verrà dopo dirà di aver trovato soltanto macerie. Non c’è un prima e un dopo-Musumeci. Musumeci non è Cristo. E non mi risulta che il suo governo possa vantarsi di una sola novità legislativa o amministrativa”.

Dice che si stava meglio quando si stava peggio?

“Abbiamo chiesto al presidente di dirci se oggi la Sicilia sta meglio di due anni e mezzo fa. Ma a questa domanda preferisce non rispondere”.

In aula il governatore ha difeso la scelta di Candela. Oggi indagato per corruzione, fu Crocetta a metterlo a capo dell’Asp di Palermo.

“L’immoralità del moralismo è data dal fatto che non si ha l’onestà di riconoscere i propri errori. Bastava che Musumeci dicesse ‘ho sbagliato’. Io credo che dietro l’aureola della legalità, ci fosse un uomo modesto e inadeguato a dirigere l’azienda più grande della Sicilia”.

Inadeguato e, per di più, presunto corrotto.

“In questa Regione siamo passati dai silenzi della mafia alle sceneggiate dell’antimafia. Questo è un dato di fatto, che accomuna alcune storie. Detto questo, la vicenda Candela dimostra che Musumeci è come quei bambini che becchi con le mani nel barattolo della Nutella, e anziché ammetterlo, accampano scuse. Mi colpisce questa consapevolezza di aver ragione anche quando si sbaglia. E bisogna ammettere che su Candela si è sbagliato: per primo il governo Crocetta, che lo ha nominato all’Asp di Palermo. Non perché fosse disonesto – questo ancora non lo sapevamo – ma perché inadeguato. Inoltre, il fatto che ci siano uomini che vanno saltando da un padrone all’altro senza rossore, di per sé mi inquieta. A me piacciono gli uomini coerenti, anche se la pensano diversamente”.

Rifiuti, infrastrutture, conti in disordine. Quale deve essere la priorità del governo in questa seconda parte della legislatura?

“Credo che la principale emergenza sia permettere alla gente di lavorare, per fare in modo che paghino le tasse e che aumentino le entrate della Regione. Solo in questo possiamo rimettere in moto le politiche pubbliche. Compresa quella sui rifiuti. Occorre creare un sistema di infrastrutture pubbliche che, da un lato, permetta di contrastare il monopolio dei privati, consentendogli di accedere al mercato in regime di libera concorrenza; e dall’altro di generare profitti. Possiamo anche raggiungere il 99,9% della differenziata, ma non serve a nulla se non sappiamo dove conferirla. Poi, l’altra grande questione è ammodernare le reti di trasporto: è fondamentale per avviare un grande piano di investimenti pubblici. Bisogna riaprire i cantieri e, poi, finalmente chiuderli. Significherà che non ci saranno più incompiute”.

Firmerà la mozione di sfiducia a Musumeci proposta dal Movimento 5 Stelle?

“Valuterò insieme ai colleghi del mio gruppo, ma l’ho trovata di cattivo gusto. Un errore tattico. Mi sembra più un’azione di propaganda che di politica vera. Il governo Musumeci va fatto bollire a fuoco lento, non alzando subito la fiamma. Altrimenti, finito il tempo dell’ebollizione, tornerà tutto come prima. L’opposizione deve avere una strategia intelligente con cui logorare la maggioranza, invece noto molta improvvisazione. L’istinto è prevalso su una strategia lucida di battaglia politica”.

La settimana prossima c’è il congresso del Pd. Esiste già un’alternativa al governo Musumeci in questo “campo largo” pensato dal neo segretario Barbagallo?

“Sarei ridicolo se dicessi di sì. Ma voglio partire da una premessa: Musumeci, grazie al nostro sistema elettorale, è il presidente della minoranza dei siciliani. Il 60% non ha votato per lui. Credo che per costruire un’alternativa bisogna ripartire da quel 60% e provare a tenerlo insieme. I siciliani devono potersi riconoscere in un progetto diverso da quello del centrodestra. Bisogna ricostruire un filo di legami, mettere insieme uomini, programmi, idee e visione del futuro. Dobbiamo essere credibili”.

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