Milioni stanziati, dissalatori mai entrati in funzione, una riforma promessa da anni e ancora impantanata in Aula. Mentre l’Ars non riesce ad approvare una singola legge, la Sicilia rischia di affondare in una nuova emergenza idrica. Il cuore della paralisi è tutto a Sala d’Ercole. Dove il ddl per il riordino dei Consorzi di bonifica è rimasto bloccato dopo la discussione generale: un solo articolo approvato, quaranta ancora da votare. Due emendamenti fondamentali – entrambi presentati in extremis dal governo – sono stati esaminati negli ultimi giorni in commissione Bilancio.

Il primo, con una copertura da 4,6 milioni di euro, riguarda il turnover e la stabilizzazione del personale a tempo indeterminato e full time all’interno dei POV, i presidi operativi di vicinanza. Il secondo stanzia 2 milioni per aumentare le giornate lavorative a 151, rispetto alle 78 o 101 attuali. Un tentativo per blindare l’impianto della riforma sul piano occupazionale. Ma che non basta a sbloccare l’impasse. “È scritta così male che anche pezzi della maggioranza che sostiene Schifani l’avrebbe impallinata con il voto segreto – ha detto il capogruppo del M5s, Antonio De Luca -. Mette solo qualche pezza, provvisoria e fatta male, qua e là e non risolve tantissimi problemi destinati a rimanere sul tappeto, compresi quelli dei lavoratori che dovevano essere stabilizzati e invece, come spesso succede, saranno presi in giro ancora una volta e rimarranno appesi ai capricci del politico di turno che cercherà di manovrarli in futuro per raccattare qualche voto alle prossime elezioni”.

Il vero motivo dello stallo è politico. Da un lato c’è un’opposizione che ha scelto l’ostruzionismo: non riconosce la legittimità dell’attuale presidenza dell’Ars né intende “normalizzare” la situazione dopo gli scandali che hanno travolto il Palazzo. Dall’altro lato c’è un presidente d’Aula, Gaetano Galvagno, delegittimato di fatto, che attende gli esiti delle indagini (l’ipotesi della procura è “corruzione”) e la decisione dei probiviri di Fratelli d’Italia, che l’hanno già convocato per valutare anche la posizione dell’assessora Elvira Amata. In mezzo, un governo regionale che procede “comunque”, senza una vera maggioranza e senza un piano, con Schifani che fa lo gnorri. E la riforma dei Consorzi – che dovrebbe affrontare alla radice il disastro della gestione idrica – rimane ferma al palo.

Intanto fuori dal Palazzo l’emergenza – pur non raggiungendo, non ancora, i livelli del 2024 – si aggrava. A Caltanissetta si registrano interruzioni a macchia di leopardo per guasti non riparati: a San Cataldo e al Consorzio di bonifica di Caltanissetta (ma anche al Cefpas, dove l’assessorato alla Salute organizza i corsi di formazione professionale), la distribuzione è sospesa per la sostituzione di un tratto dell’acquedotto Blufi, ma i lavori procedono lentamente. In provincia di Agrigento, l’acqua è insufficiente in tutti i comuni, le perdite nella rete superano il 50%, e l’ente gestore (AICA) è senza Consiglio d’amministrazione, dimessosi dopo le proteste dei cittadini. E il dissalatore promesso entro giugno a Porto Empedocle? Ancora spento.

Eppure i soldi non mancano. Prima erano 90 milioni, già erogati dallo Stato con il Fondo di Sviluppo e Coesione. Adesso ne arrivano altri 21 milioni, 10 per il 2025 e 11 per il 2026, stanziati con decreto nazionale su richiesta del governo Schifani. Tutti destinati a far partire i dissalatori mobili a Gela, Porto Empedocle e Trapani. Ma per ora nessuno degli impianti è in funzione. “Le fasi di realizzazione sono ormai alle ultime battute e nelle prossime settimane entreranno in funzione”, assicurava il presidente della Regione lo scorso 2 luglio. Secondo le stime ufficiali, si potrà arrivare a 500 litri al secondo, con un bacino potenziale di oltre 800 mila persone. Ma ad oggi non è stato prodotto un solo litro d’acqua. E quando lo sarà, costerà cinque volte di più di quella di rete: tra 1,5 e 1,7 euro al metro cubo. Senza contare che si tratta di una soluzione già fallita nei primi anni Duemila, quando gli impianti vennero dismessi per i costi proibitivi.

La giunta regionale, con la “manovrina” approvata a luglio, ha destinato altri 9,9 milioni di euro alla gestione dei dissalatori. E 26,2 milioni alle infrastrutture idriche: 10 per i laghetti aziendali, 10 per interventi urgenti, 6,2 per interconnessioni tra dighe. Tutto bene, in teoria. Ma la realtà è un’altra: i rubinetti sono asciutti. E le soluzioni strutturali – manutenzione degli invasi, riuso delle acque reflue, digitalizzazione della rete – restano fuori dal radar. Ovviamente la manovrina dovrà superare il vaglio dell’Assemblea regionale, dove al momento regna l’anarchia. Le opposizioni, con un moto d’orgoglio quanto meno tardivo, hanno chiesto a Schifani un dibattito su turismo e sanità (il presidente però non sembra intenzionato a concederlo). Ma anche all’interno del centrodestra prevalgono i mal di pancia, che mettono a rischio qualsiasi proposta di legge: compresa la manovrina-ter, che può contare su alcune risorse destinate a grandi eventi, ma che questa volta dovrà fare a meno delle mancette territoriali. Motivo per cui molti parlamentari potrebbero ostacolare l’iter di legge.

Tutto potrebbe slittare a settembre. Con una piccola postilla: le emergenze non attendono. La Sicilia non è senza acqua. È senza gestione. E senza una guida politica all’altezza. A Palazzo dei Normanni si continua a galleggiare. Mentre la crisi – climatica, agricola, istituzionale – rischia di diventare permanente.