Le ultime “vittime” di Schifani sono i due sub-commissari per il Piano di adeguamento e riqualificazione dell’autostrada A19 Palermo-Catania. Quelli che lavoravano sotto di lui, e per di più a titolo gratuito, da 18 mesi. Lelio Russo e Sergio Tumminello si sono dimessi a seguito delle code sconcertanti che molti palermitani hanno dovuto affrontare lunedì sera, di rientro da una giornata al mare. Due ore per percorrere dieci chilometri, fra Bagheria e Villabate, a causa di tre cantieri che restringevano la carreggiata. E’ bastato far trapelare che Schifani avesse consultato l’Amministratore delegato di Anas e che avesse in mente di ritirare loro le deleghe, che i due ingegneri hanno tolto il disturbo (sottolineando però di “aver adempiuto correttamente al proprio mandato”).

La reazione di Schifani non è stata difenderli, ma “arrivederci e grazie”. E così, in attesa del vertice di oggi con Anas e con le imprese-lumaca nell’esecuzione dei lavori, l’A19 è un’autostrada senza padroni e senza controllori. Visto che il commissario, pur dall’alto del suo ruolo, ha scelto di non assumersi alcuna responsabilità. Alla Regione è scoccato, però, l’ennesimo licenziamento umorale: anch’esso appartiene a una casistica consolidata, che prevede di additare qualcun altro e obbligarlo a un passo indietro. Una strategia politicamente inoppugnabile – oggi si è continuamente alla ricerca di sergenti di ferro e di manovali inadeguati, su cui scaricare i fallimenti – alla quale, però, è quasi impossibile riparare in tempi brevi.

Così molti rami dell’amministrazione rimangono vacanti (vedi Asp di Palermo o Trapani). Altri, invece, non risolvono i propri problemi lancinanti. Il metodo, però, è consolidato: tutto nasce da un episodio e viene gestito come un capriccio. O un rancore, dipende dalla circostanza. Prendete la Fondazione Agrigento Capitale della Cultura: solo a gennaio, quando le infiltrazioni d’acqua facevano temere per il debutto al Teatro Pirandello (con Mattarella), il governatore siciliano si accorge che qualcosa non funziona. Convoca una task force in capo alla Regione ed esclude la Fondazione, ritenuta responsabile dei ritardi: il presidente della stessa, Giacomo Minio, si dimette.

Lo capisce anche un bambino che la Fondazione che gestisce gli eventi non ha alcuna competenza sui cartelli dell’Anas, su un teatro della cui manutenzione si occupa il Comune e dei lavori di rifacimento stradale portati avanti dal Genio Civile, quindi dalla Regione. Quando si sollevano critiche su Agrigento capitale italiana della cultura e si punta il dito contro qualche inefficienza, bisognerebbe anche specificare a quale ente è rivolta quella critica”, ebbe da ridire Minio nel corso di un’intervista a Repubblica. Al suo posto arrivò l’ex Prefetto Maria Teresa Cucinotta, accolta con tutti gli onori del caso. Ma non sembra, a distanza di mesi, che il quadro artistico sia migliorato.

Pure nella sanità si è operato con gli stessi provvedimenti “mordi e fuggi”. Il 3 gennaio Schifani fa un blitz a Villa Sofia: “Abbiamo riscontrato una grave carenza organizzativa legata all’assenza di personale infermieristico nel reparto di ortopedia, una situazione che ha bloccato molti interventi. Al momento della visita, c’erano 14 pazienti in attesa, tra cui persone con fratture al femore e altre urgenze. Saranno avviate verifiche interne per individuare le responsabilità”. Dopo la denuncia, muore un paziente di 76 anni, che da 17 giorni era in attesa di un intervento. L’assessorato manda un’ispezione, che in tempi record accerta “concorrenti responsabilità gestionali”. Per la governance è finita. Le dimissioni del Direttore generale Roberto Colletti, per la verità, non furono immediate: il rito, dapprima, prevedeva l’addio del direttore sanitario Aroldo Rizzo; e solo in seguito quelle del manager che era stato lo stesso governo a nominare in quota Democrazia Cristiana.

Ma c’è un ultimo episodio, il vero emblema dei licenziamenti sbrigativi (e talvolta dannosi): riguarda Vito Riggio, ormai ex Amministratore delegato alla Gesap di Palermo. Schifani, dopo averlo scelto una prima volta (nel 2023), l’aveva pregato una seconda volta di tornare sulla plancia di comando e completare la privatizzazione dello scalo “Falcone-Borsellino”. Riggio se n’è andato con l’accusa di non possedere alcuna visione, ma solo dopo aver contestato l’abolizione dell’addizionale comunale per gli aeroporti minori (che avrebbe finito per danneggiare Punta Raisi rispetto a Trapani). Un atto di lesa maestà costato carissimo dal punto di vista personale. Eppure sotto la guida Riggio il traffico passeggeri è passato dagli 8 milioni del 2023 agli 8,9 del 2024. Ma di questo la politica regionale – che pur non aveva alcuna competenza nel determinare le sorti di una società municipalizzata come Gesap – non si è interessata fino in fondo. O se l’ha fatto, ha preferito adottare un metro basato (ancora una volta) sull’umore e sul rancore. Condanna in via definitiva, e dentro un altro (anche se bisognerà attendere).

Il trattamento riservato a Riggio, come ai due sub-commissari della Palermo-Catania, è la cifra di un potere che non sa scegliere, ma pretende di giudicare. Che investe uomini e donne di responsabilità anche complesse, salvo abbandonarli al primo inciampo – vero o presunto – per salvaguardare un’immagine di comando mai davvero esercitato. La politica del capro espiatorio funziona bene nei titoli dei giornali, ma lascia deserti i vertici delle Aziende sanitarie, paralizza le Fondazioni culturali, isola i dirigenti capaci. E racconta, più di ogni altra cosa, l’inadeguatezza di un governo che denota molti limiti: sia a livello caratteriale che di responsabilità.