All’Ars non hanno imparato nulla, o volutamente dimenticano: le mance non si potevano (o dovevano) più fare. Poiché la vita dei parlamentari è scandita dalle manovre finanziarie, bisogna risalire a un paio di episodi fa – era il marzo 2025 – quando Renato Schifani, ringraziando il Ministero dell’Economia per la mancata impugnativa della Legge di Stabilità, prometteva: “Ci siamo impegnati con la Presidenza del Consiglio e con il ministero degli Affari regionali affinché per il futuro siano adottate norme improntate al rispetto dei principi di eguaglianza, imparzialità e continenza”.
Macché. Sono passati alcuni mesi e la situazione è addirittura peggiorata. In parlamento non sanno cos’inventarsi per legittimare misure che appaiono (politicamente ed eticamente) inopportune. L’unica arma politica è diventato lo spreco: siccome il presidente della Regione e i suoi “colonnelli” non riescono ad appagare i desideri di tutti, allora aggiungono altri soldi. Il consenso si compra così, non si costruisce più con idee o progetti.
Ieri si parlava di un tesoretto aggiuntivo da 25 milioni per fare contenti tutti. Non era l’unico. L’accordo originario da 35 milioni, infatti, prevedeva una spartizione proporzionale (600 mila euro per ogni deputato di maggioranza, 300 circa per quelli d’opposizione). Quello aggiuntivo ne mette in palio 18 per il centrodestra, 7 per gli altri. Il mercato delle vacche è aperto e l’unica novità, sbandierata dal Movimento 5 Stelle, è che ogni singolo emendamento dovrà essere corredato dalla firma del proponente. Qualcuno cui gridare “vergogna, vergogna” dopo che il danno è fatto. In questo modo, dicono i sapientoni, ognuno potrà assumersi le responsabilità delle proprie azioni.
L’odore delle mance placa anche gli ex rivoluzionari del Pd e i Savonarola del Movimento 5 Stelle: tutti sembrano storditi da questa ubriacatura di denaro pubblico. Ciò che rimane di questa narrazione patetica è l’input: mance a tutti i costi. La loro presenza era stata limitata, lo scorso luglio, dalle indagini della Procura di Palermo su Galvagno e Amata e dalla lettura di parecchie intercettazioni che mettevano i contributi ad associazioni o iniziative sullo stesso banco delle “procurate utilità” al cerchio magico di questo o di quel politico. Un modo per raccogliere nuovo consenso e andare avanti così fino al termine della legislatura, magari anche per la prossima.
Il metodo del do ut des che regge in piedi la politica siciliana, non fa però gli interessi dei siciliani. Bensì dei soli politici. Che ogni tanto trovano il tempo di annunciare opere meritorie per nascondere sotto il tappeto l’assurdità di certe proposte. L’onorevole dei 5 Stelle, Stefania Campo, è tra queste. Rifiuta la forma del maxi emendamento, ma tra le priorità della propria azione parlamentare sfodera: l’acquisto della casa natale di Giorgio La Pira a Pozzallo, con un emendamento di 150 mila euro, e ben 300 mila euro a favore del Museo archeologico regionale di Ragusa, “per il quale da anni ci battiamo per trasferire l’ingresso da via Natatelli a via Roma”. Cioè, per trasferire l’ingresso di qualche decina di metri servono 300 mila euro. La rivoluzione contiana.
Galvagno ha capito che aria tira, ma preferisce sorvolare le polemiche. Però fa un appunto sull’Ipab di Paternò (la sua città natia) che non merita di chiudere. Per il resto si allinea al pensiero prevalente: ognuno metta la sua firma invece di condividere emendamenti senza capo né coda coi colleghi più pavidi. Ma l’esponente di Fratelli d’Italia, dopo lo scandalo Auteri (che faceva parte del suo stesso partito) aveva detto di abolirle, le mance. Poi il tentativo è stato camuffato con la decisione di non destinarli più alle associazioni dei familiari, ma agli amici sindaci. E adesso non si capisce cosa. Prima si pensava a interventi solo in materia di infrastrutture, poi è seguito il tira e molla sui 2,2 milioni a favore delle iniziative sociali e culturali dei comuni. L’unica cosa immutata rimane lo spreco di risorse pubbliche senza un disegno che ne giustifichi sino in fondo l’esborso.
Anche i ciechi si sono accorti di questa piaga molto siciliana. E persino Calenda, che ha insediato in Sicilia la quinta gamba dell’opposizione. “L’Ars non si occupa dei siciliani, la Regione siciliana si occupa solo di piazzare chi gli deve fare dei favori con scene indegne, come abbiamo visto all’Ast – ha detto il leader di Azione -. Questo è un sistema che si autoalimenta, tanto per distribuire soldi non ai cittadini ma a loro stessi. E questo va detto”. Calenda è la quinta gamba, ma le altre faticano. Perché di fronte all’odore delle mance si dissolvono: il Pd si basa sugli accordi in conferenza di capigruppo, i Cinque Stelle strombazzano vittorie di principio soltanto formali, il povero La Vardera è rimasto da solo. Poi ci sarebbe Faraone, ai vertici di un partito che opera soltanto fuori dal parlamento.
Sono più i complici dei ribelli. Perché la verità è che questo equilibrio conviene a tutti: i franchi tiratori non spariscono, sopravvivono in un Parlamento dove l’unico cemento è lo spreco e dove l’unico modo di tirare acqua al proprio mulino è minacciare di impallinare le iniziative altrui col “voto segreto”. La rete ospedaliera che fino a ieri sembrava la fine del mondo oggi non la nomina più nessuno. Perché l’ubriacatura delle mance ha zittito tutti. La politica siciliana, a forza di comprare consenso, ha smesso di interrogarsi persino sul proprio futuro.