La fede è contagiosa. Non fa eccezione quella per i colori rosanero, che circa dieci mesi fa ha portato Dario Mirri e la sua Hera Hora srl, ad aggiudicarsi il bando dell’Amministrazione comunale, battendo avversari del calibro di Massimo Ferrero, per far ripartire il calcio a Palermo. Sono passati dieci mesi e, tutto sommato, i primi risultati arrivano: il più corposo è la promozione in Serie C, non ancora ufficiale (manca la ratifica del Consiglio federale della Figc), ma praticamente certa. Il Covid-19 ha accelerato le pratiche e concesso ai rosanero il pass con qualche giornata d’anticipo rispetto alle previsioni e qualche magagna in meno da affrontare (ad esempio, lo contro diretto col Savoia, indietro di 7 punti al momento dello stop). Ma non è detto, anzi lo escludiamo, che la sospensione precoce del campionato Dilettanti sia stato un toccasana per la proprietà: a Mirri e soci, infatti, sono venuti a mancare tre incassi corposi – dato che il Palermo fa di media 15-17 mila spettatori a partita – e questo non è esattamente il miglior viatico per programmare la prossima stagione.

L’attività della Ssd Palermo non si è mai fermata nemmeno in questi giorni, anzi è risultata talmente frenetica da portare al primo, vero smottamento: cioè l’addio di Tony Di Piazza, che ha rassegnato le dimissioni da vice-presidente e spruzzato un po’ di veleno sui compagni di cordata: dal presidente Mirri all’amministratore delegato Sagramola. E ora minaccia di vendere le quote che – va detto – sono imponenti. L’imprenditore italo-americano, infatti, detiene il 40% della società Hera Hora, di cui Damir – la holding che fa capo a Daniele e Dario Mirri – possiede il 50% (il restante è di Dario, mentre l’1% di un gruppo di tifosi). Tanti, fra gli addetti ai lavori, percepiscono come una “stranezza” che un socio di minoranza, per di più estraneo a qualsiasi rapporto di tipo commerciale o amicale con Mirri prima dell’estate scorsa, entri nel progetto con dosi così massicce e lasci comandare quell’altro. Un po’ meno che, al termine di una stagione dove era necessario salvare le apparenze in nome del nuovo progetto e dei risultati incoraggianti, abbia deciso di farsi da parte.

All’interno della società rosanero, d’altronde, i ruoli non sono mai stati definiti fino in fondo. Ma per ogni Cda che si rispetti, è la maggioranza a fare la voce grossa. Per questo Mirri, che ha posto a capo dell’intero progetto sportivo Rinaldo Sagramola (già visto con Zamparini e con decine di altri club), ha finito per erodere la presenza di Di Piazza, che negli ultimi giorni, a bocce ferme, ha avuto da ridire. La dialettica fra le parti non è mai sfociata in scontri feroci, ma la separazione dal tecnico Rosario Pergolizzi è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: il paisano Tony, la cui funzione sarebbe prevalentemente quella di immettere liquidità e rappresentare il brand rosanero negli Usa, non è stato messo al corrente della decisione. Così si è dimesso da vicepresidente. Mirri sostiene che non cambierà nulla (potrebbe acquistare lui stesso il 40% in bilico). Ma è in acque tempestose che un imprenditore di successo finisce per affermare le centralità e la bontà del proprio progetto che fin qui, diciamocelo chiaramente, in tutte le occasioni si è visto stendere di fronte il red carpet.

Il biglietto di presentazione di Mirri è parso da subito all’avanguardia: nipote di Renzo Barbera, fede calcistica incrollabile (con un aneddoto da tirare fuori a ogni circostanza), imprenditore palermitano e detrattore dei peggiori avventurieri. Non mancava nulla per essere incoronato sovrano. E di fatti è avvenuto, con la benedizione del sindaco Orlando. Il presidente-imprenditore, che un paio di anni fa, con il Palermo in B, iniettò un regalino da 2,8 milioni di euro (in cambio di qualche scritta sui cartelloni dello stadio), per impedire una forte penalizzazione in classifica, si è presentato decisamente bene. La squadra, creata in quattro e quattr’otto, ha sempre vinto nelle prime dieci partite, acquisendo la classifica e la sicurezza per fare un campionato di vertice. Ma nel contempo, dopo la decisione avventata di Zamparini di affidare le chiavi del club agli inglesi, e successivamente di Foschi di vendere ai Tuttolomondo, Mirri sembrava l’unico in grado di unire soldi e testa, e dare al Palermo una continuità sportiva e societaria che a Viale del Fante era dispersa. Grazie ad alcune interessanti trovate di marketing (come la possibilità per i tifosi di scegliersi la maglia) è riuscito a stimolare la passione e riportare la gente allo stadio. I diecimila abbonamenti staccati per la Serie D, nonostante le mille agevolazioni per donne, famiglie e bambini, sono un risultato di grande rispetto.

Ma adesso viene il meglio, o il peggio, dipende dalla prospettiva. Mirri dovrà dimostrare di essere un imprenditore all’altezza del sogno che in questi dieci mesi ha illustrato alla città, al sindaco e ai tifosi. Aveva promesso un investimento da 15 milioni in tre anni per riportare la squadra in B. Ma solo per disputare un campionato da protagonista in C, nell’era pre-Covid, ne sarebbero serviti fra gli 8 e i 10. Secondo le indiscrezioni emerse dall’ultima riunione del Cda, quella in cui si è consumata la spaccatura, il budget per la prossima stagione è di 6 (circa). Il club, reduce dalla prima stagione del nuovo corso, resta col portafogli semivuoto nonostante i trionfi. In Serie C e D è logico che avvenga, ma nel calcio, in generale, è difficile, quasi impossibile, rientrare da un investimento. Figurarsi per una società come il Palermo, che ha sul codazzo migliaia di appassionati, un affitto (lo stadio) e dei giocatori da pagare, e zero introiti dal mercato dei diritti televisivi. L’unico mezzo di sostentamento rimane il botteghino, assieme a un ristretto nugolo di sponsor e qualche pezzo di merchandising.

Mirri non è Berlusconi, che dopo aver accumulato le migliori fortune al Milan, decide di investire venti milioni nel Monza, affidandolo a Galliani, e portarlo in Serie B (missione compiuta). Nella “piccola” Palermo siamo di fronte a una gestione che per forza di cosa deve essere più armoniosa e meno spregiudicata: quasi in antitesi rispetto alla carriera imprenditoriale della famiglia Mirri, che ha sempre ottenuto il massimo dalla diversificazione dei propri capitali. Stavolta il terreno di gioco è più infido. Serve una gestione oculata che, però, non ammette passi falsi. Mancare per un anno la promozione, significherebbe buttare nel water l’investimento e, restando il Palermo in C – con gli stessi, risibili guadagni – vorrebbe dire bruciare un intero percorso. E, perché no, il sogno.

Farebbe già tantissima differenza, per il Palermo, giocare il prossimo campionato a porte chiuse o con il pubblico. Gli incassi del botteghino sono la linfa vitale per un club che punta in alto e ogni domenica apre lo stadio a 15 o 20 mila spettatori. E’ impensabile rinunciarvi. Un altro aspetto di grande importanza è la nascita del nuovo centro sportivo: sarebbe il primo passo per patrimonializzare la società, attribuirle un valore. Sganciarla dalla logica della Serie D e proiettarla verso l’orbita delle big. La proprietà sta cercando un terreno di parecchi ettari e sembrava averlo individuato a Torretta, 25 km da Palermo, dopo aver sondato l’ipotesi di trasferirsi nell’ex campo rom, a pochi passi dallo stadio. Troppe insidie burocratiche l’avrebbero convinta a desistere. Nel nuovo centro sportivo – fra l’altro già contemplato nella manifestazione d’interesse del Comune – sorgerebbero quattro campi d’allenamento, più una palestra e le strutture per l’hospitality. Garantirebbe anche al settore giovanile (altro investimento a perdere) di avere una casa in cui cimentarsi con gli allenamenti.

Dalla tenuta dei conti in ordine, dalla capacità di cancellare l’onta del passato (i Tuttolomondo sono stati una sciagura), e di coniugare la visione sportiva e manageriale, proiettandola nel futuro, si potrà misurare il senso dell’investimento di Mirri. Che non aspira a diventare presidente della Regione (come Berlusconi aspirava a diventare premier), e per questo ha il dovere di calibrare gli interessi legittimi dell’imprenditore, con quelli passionali del tifo, e quelli di rappresentanza di una città a cui il calcio, negli ultimi anni (con Zamparini, Baccaglini, Giammarva, la De Angeli etc…), ha inferto un durissimo colpo. Azzerandone la credibilità. La separazione con Di Piazza, ed eventualmente il ritorno allo stadio senza tifosi, sarà lo spartiacque di questa nuova avventura. Al termine della prima stagione, nonostante il fresco ritorno in C, siamo ancora bloccati sullo 0-0.