A un certo punto, intorno alle 17 di ieri, si sono fermate le rotative: l’Assemblea regionale siciliana ha approvato una legge. E’ quella che attribuisce la qualifica dirigenziale al personale medico delle Aziende ospedaliere universitarie, in modo particolare il Policlinico di Messina. L’obiettivo, come riferito dall’onorevole Laccoto – il relatore del ddl – è cancellare “un’ingiustizia che dura da vent’anni”. Peccato che più fonti, della maggioranza e dell’opposizione, già fiutino il rischio di un’impugnativa: “Ma l’aula è sovrana”, ha dichiarato il presidente pro-tempore, Nuccio Di Paola. Così, fra strette di mano e qualche pacca sulle spalle, la seduta è stata aggiornata a martedì prossimo.

Di questa leggina riparatrice, al massimo, si riparlerà fra due o tre mesi, quando Palazzo Chigi sarà tenuto a esprimersi su un eventuale conflitto di competenze. Al momento i deputati passano all’incasso e chiudono virtualmente il periodo nero. Quello che aveva provocato lo sconforto e il rischiamo al governo – ché non c’è carne al fuoco – da parte del presidente Galvagno. In realtà, complice un’altra settimana calda sul fronte Amministrative (domenica ci sono i ballottaggi in quattro comuni, fra cui Siracusa), e la scarsa affluenza a Sala d’Ercole, l’Ars ha sorvolato sui debiti fuori bilancio e sulle proposte più serie, rimaste impigliate nelle commissioni di merito.

In un’aula popolata da fantasmi, sempre ieri, si è palesato un assessore anch’egli fantasma: Mimmo Turano. Il quale non ha esitato a rispondere, chiedendo in cambio una mano, a interrogazioni e interpellanze sui temi dell’Istruzione e della Formazione professionale, che Schifani non fa mistero di volergli scippare. Trovare qualche negligenza sulle materie di Turano potrebbe essere l’unico appiglio per rivendicare una scelta politica (di cui Annalisa Tardino, segretaria leghista, attende comunicazione) e non far scoppiare la guerra degli assessorati. Di rimpasto, infatti, nessuno vuole sentir parlare. L’unica richiesta – forte e inusuale – giunge dai patrioti di Fratelli d’Italia, che hanno chiesto la testa di Turano per aver determinato la sconfitta elettorale di Trapani. Anche se l’alta tensione, alla vigilia del voto di Siracusa e Acireale, è fortissima anche dentro Forza Italia, con uno scollamento sempre più evidente fra la corrente del governatore e quella dell’assessore all’Economia, Marco Falcone. I due hanno litigato anche sulle Camere di Commercio e sulla nomina dei due assessori in quota azzurra al comune di Catania, primo vero ostacolo per il sindaco Trantino.

Schifani, partecipando alla presentazione del cartellone estivo di Taormina Arte, ha gettato acqua sul fuoco. S’è inventato una verità parallela rispetto a quella fattuale, che parla di uno sconquasso in atto tra Fratelli d’Italia e Lega e della faida interna ai berluscones. Il presidente ha parlato addirittura di “clima sereno” e “nessuna tensione” all’interno del governo. “Andremo al ballottaggio con un centrodestra compatto – ha aggiunto Schifani -. La forza del mio governo sarà quella di procedere compatto, sulla scia di un esecutivo nazionale a trazione Meloni che sta andando molto bene”. Inoltre ha derubricato lo scontro fra meloniani e salviniani a “normali incomprensioni” senza fare accenno al rimpasto, che pure era stato lui a suggerire. Parlando prima di “tagliando” poi di “restyling” che potesse interessare fino a quattro assessori. A saltare dal fuoco alla brace potrebbero essere, oltre a Turano, lo stesso Falcone, Giovanna Volo (per la gestione moscia della sanità) e Francesco Scarpinato. Quest’ultima un’entità quasi astratta, se non fosse per qualche sporadica inaugurazione: l’altro ieri è toccato a una mostra realizzata al Parco archeologico di Taormina.

Il feeling tra Scarpinato e Schifani non è mai scattato: complice la vicenda di Cannes ma anche l’imposizione dall’alto, giunta in avvio di legislatura, quando fu Fratelli d’Italia a esigere il nome dell’ex ufficiale dell’esercito per il ruolo di assessore al Turismo (delega scambiata in seguito con quella ai Beni culturali). Con questi nodi irrisolti, e con un’azione di governo praticamente ferma, com’è possibile parlare di “clima sereno”? Schifani, con al fianco il solito Marcello Caruso (nella duplice veste di commissario di Forza Italia e suo consigliere) ci prova: “Si parla di tensioni in giunta, di rimpasto e non di quello che stiamo facendo. Sui giornali solo falsi scoop”, obietta il presidente. Che da Taormina rilancia il brand Sicilia, con a fianco due madrine d’eccezione: la sovrintendente di Taormina Arte, Ester Bonafede; e la direttrice artistica Beatrice Venezi. Che è anche il massimo esponente culturale del mondo incantato di Giorgia.

Non c’era il sindaco Cateno De Luca, insolito padrone di casa, che prima vuole rivedere lo Statuto della fondazione perché non gli va di fare l’ospite. Ma questa è un’altra storia. Resta chiaro, invece, l’imprinting di questo governo: nullo. Se l’Ars non legifera, è perché manca una proposta e un direttore d’orchestra (non c’entra con la Venezi); se rischia una valanga d’impugnative, è a causa di chi non esercita il controllo; se persino il disegno di legge “collegato” alla Finanziaria – utile per rimpinguare i capitoli dei Comuni e dei Forestali – rimane in cantiere, è perché nessuno offre abbastanza garanzie sul fatto che non diventi, come la Legge di Stabilità, un tentativo di assalto alla diligenza. Se le riforme di settore annunciate in campagna elettorale non vengono mai discusse, vuol dire che nella catena di comando qualcosa non funziona. Che forse bisognerebbe cambiare schema. Eppure il “clima è sereno”, e la maretta pre e post-elettorale è solo colpa dei giornali.