A chi ha invocato l’unità del partito per risolvere problemi ancestrali, soprattutto in Sicilia, risponde secco Totò Cardinale: “Qualcuno voleva rappresentare all’esterno un Pd che non c’è. Un congresso a fari spenti, alla “vogliamoci bene”, non ci avrebbe permesso di affrontare i problemi. La proposta di Faraone serve a lanciare un messaggio forte e chiaro: non vogliamo ridurci all’inconsistenza politica degli ultimi anni. Il fatto che ci siano poche candidature, io, lo vedo come un elemento negativo”. Non è un invito alla frammentarietà, ma è punto di vista nuovo. Che quasi colpisce.  E’ il pensiero di Totò Cardinale, ex Ministro nei governi D’Alema e Amato, leader di Sicilia Futura, un movimento regionale che gravita nell’orbita dei democratici. Il suo discorso non fa una grinza. E’ lontano – certamente – dai propositi unitari e un po’ benevolenti degli ultimi giorni. Da quel tentativo di trovare la quadra, a cui in realtà non ci si è mai avvicinati troppo, che sembrava poter scongiurare il rischio di nuove correnti e delle solite lancinanti ferite. Ma Cardinale ribalta i concetti e dopo aver tessuto la trama, lui insieme a tanti altri, si gode la candidatura di Davide Faraone come l’avvio di un percorso nuovo e per nulla banale.

Non c’è il rischio che il nome di Faraone, espressione di una sola area, benché folta, finisca per dividere stavolta in modo irreparabile?

“Sono stato il primo a suggerire a Faraone di scendere in campo. Non solo sosterrò la sua candidatura, ma mi sento responsabile perché nelle ultime ore mi sono speso fino in fondo affinché accettasse. Occupare uno spazio nazionale, per quanto autorevole e comodo, non è quello che oggi si vuole da un leader. Il leader è uno che deve portare il proprio impegno, la propria testimonianza, il proprio servizio sul territorio. Tentare di riprendere il rapporto con i siciliani ed elaborare un pensiero politico che oggi manca. Ricucire, insomma, ciò che è possibile ricucire all’interno di un partito a pezzi”.

Cosa la induce all’ottimismo? Cosa le dice che non seguiranno altre fronde?

“Chi voleva un nome di caratura minore, incapace di esprimere compiutamente una sintesi fra tutte le intelligenze del partito, senza permettere un dibattito chiaro, intendeva giocare solo di rimessa.  E avrebbe finito col relegare il Pd a un ruolo di assoluta inconsistenza. Non dimentichiamoci che le ultime Politiche sono state segnate da fatti gravissimi… Dirigenti di partito che non votavano il partito ma facevano campagna elettorale contro. E allora come fai a pensare a un Pd che possa rialzare la schiena, riprendere un cammino, indirizzare lo sguardo in una certa direzione, fuori dai settarismi e dai rancori che si coltivano da tempo, se non vai incontro a un dibattito serrato?  Chi vince lo fa perché ha un largo consenso, perché ci mette la faccia, perché vuole misurarsi coi problemi della Sicilia e lanciare una sfida”.

Quale?

“Mettere insieme tutto ciò che possibile e recuperare il consenso rispetto a un’ondata populista che anche in Sicilia fa sentire i suoi effetti. Coi grillini e, da poco, anche con Salvini. Un partito allo sbando, o con una guida non forte, che non esce fuori dalle contraddizioni che lo hanno lacerato, non può competere. E invece bisogna venir fuori da questo pantano”.

Quindi, la sua teoria risponde alla logica del “più siamo, meglio è”? Quante candidature si aspetta?

“Non credo che saranno tante, e questo è un male. E’ la conferma che si ragiona ancora per schemi: quelli di Areadem, quelli di Renzi, quelli di Martina… Non ho visto quella vivacità e quel fermento tipico di altri ambienti politici. Non ho visto giovani e donne alzare i toni, o battersi per uscire da questi schemi logori e datati. In Sicilia ci saranno due candidati, forse tre. Uno di rappresentanza renziana, uno di rappresentanza zingarettiana. E poi c’è Raciti (il segretario uscente) che sta con Martina. Nelle prossime ore si capirà se appoggerà Faraone o avrà un suo candidato. Ma non avverto grande effervescenza e questo mi preoccupa”.

Il Pd è un grosso mammut che non semina entusiasmo. Ma così non si rischia una figuraccia nei gazebo?

“Alle ultime primarie regionali avranno votato 70-80 mila persone. Non credo raggiungeremo quella cifra. Non credo ci siano le condizioni per vedere la gente in fila ai gazebo. Si sono fatti tanti errori e credo che nessuno possa salvarsi dalla necessità di un’autocritica severa. Se non animiamo questo dibattito, evitando l’appiattimento, temo che sarà una delusione. Vede, la candidatura di Faraone mi fa sperare in una più ampia partecipazione rispetto a quella che avremmo ottenuto con una candidatura unitaria. In quel caso saremmo andati incontro a un congresso “falso”, tutto sarebbe stato scritto a tavolino”.

Perché Faraone rappresenta un cambio di rotta?

“Io resto convinto che il Pd debba virare vistosamente verso il centro, recuperare un mondo e un’area che non ha cittadinanza politica. Io mi spingerò in questa direzione. Il mio appoggio a Faraone è incondizionato”.

Esiste un tema specifico da cui ripartire?

“Il tema più drammatico è lo sviluppo. Poi c’è la programmazione. E non possiamo mai dimenticarci dei sottoccupati, dei disoccupati, dei precari. Ma anche in questo caso assisto a un dibattito sterile, persino in Assemblea regionale. Prevale il torpore. Piuttosto che su temi generali, si continua a parlare dei singoli atti amministrativi. Non vedo quella vivacità che servirebbe a maggioranza e opposizione per dare risposte sulle grandi questioni della Sicilia”.

Tifa Zingaretti o Minniti?

“Avrei preferito un giovane che avesse una formazione, una cultura, un’apertura mentale, che fosse capace di mobilitare quell’area liberal-riformista a cui faccio riferimento anche io. Ci sono tanti elettori di centro che faticano a riconoscersi in Minniti o Zingaretti. Con tutto il rispetto per le persone, non sembrano in grado di dare una scossa o scaldare i cuori. Se mi chiedesse di scegliere, però, prenderei Minniti. Non lo farei con entusiasmo, ma è quello che conosco meglio avendoci lavorato insieme nello stesso governo”.