Che la sanità siciliana non navighi in buone acque non è una notizia di queste ore. Ma l’ultimo scandalo, tutto da approfondire, fa trapelare alcuni interrogativi preoccupanti: ad esempio, che fine ha fatto la magistratura di fronte alle otto denunce presentate in Procura da un medico del ‘Civico’ di Palermo, Francesco Caronia, che ha parlato di operazioni non necessarie e diagnosi tardive? E dov’era il manager Walter Messina, che da febbraio ’24 – prima da commissario, poi da Direttore generale – è subentrato alla guida dell’Azienda ospedaliera? Ancor prima del vertice con l’assessore Faraoni in assessorato, assieme al deputato Ismaele La Vardera (il primo a raccogliere registrazioni e testimonianze), il caso di Caronia era già diventato politico e mediatico. E ha riacceso i riflettori sulla sanità nello stesso frangente in cui il Giudice del Lavoro doveva emettere un verdetto sul ricorso presentato da Ferdinando Croce contro la sospensione da manager dell’Asp di Trapani.
Destini che, casualmente, s’incrociano. Ma che restituiscono il marciume di una gestione politicizzata e spesso avulsa dal fine superiore: cioè garantire il diritto di salute ai pazienti. Caronia ha denunciato pubblicamente presunti (e gravi) episodi di malasanità nel reparto di Chirurgia toracica dell’ospedale “Civico” di Palermo, uno dei più importanti del Meridione. E ha tirato in mezzo il suo primario che di fronte all’assalto de “Le Iene” ha preferito tenere la bocca chiusa. La Faraoni ha promesso accertamenti. La Vardera ha chiesto l’invio degli ispettori: “Chiederemo verità e giustizia anche per i parenti di quelle vittime che a detta del medico si sarebbero potuti salvare”.
Il bubbone è esploso, così come accaduto nei mesi scorsi, sempre al ‘Civico’, in seguito alla morte di un bambino di 7 anni nel reparto di Cardiochirurgia pediatrica gestito in convenzione dal gruppo San Donato. Sui quella vicenda non si è mai scritta la parola ‘fine’, tutt’altro (anche la magistratura ha aperto un’inchiesta). Mentre altri fatti, che hanno destato l’interesse dell’opinione pubblica, hanno avuto esiti assai più pesanti: come nel caso del paziente morto dopo 17 giorni di ricovero a Villa Sofia, nel reparto di Ortopedia: era in attesa di intervento. A seguito di quell’evento, la prima testa a saltare fu quella del Direttore sanitario, Aroldo Rizzo, seguito a ruota dal Direttore generale dell’Azienda “Villa Sofia-Cervello”, Roberto Colletti. La politica non ebbe spazio per resistere, anzi fu lo stesso Schifani a pretendere e ottenere uno scossone – le dimissioni – che scuotesse le coscienze.
Non è andata allo stesso modo a Trapani, dove il Direttore generale Ferdinando Croce, esponente di Fratelli d’Italia, non ha ceduto nemmeno al rossore di certi numeri: come i 3.300 referti istologici consegnati in ritardo di mesi, o i 20 casi gravi che erano derivati dalle negligenze gestionali del reparto di Anatomia patologica; un uomo è anche morto in attesa di un esito che non arriverà mai, mentre una professoressa è stata costretta a curarsi fuori dalla Sicilia perché il suo tumore, nel frattempo, si era evoluto fino al quarto stadio. L’intervento tardivo dell’assessorato e il richiamo alla responsabilità da parte di altre strutture sanitarie per il recupero delle biopsie pregresse, hanno fatto emergere con maggiore forza le implicazioni di Croce che però ha preferito resistere alla moral suasion di Schifani (non si è dimesso, potendo contare su una certa “protezione” del suo partito) e persino all’iter di decadenza già avviato. Con l’obiettivo di tornare in sella.
In questo clima, da piazza Ottavio Ziino si continua a prendere tempo sulla nomina del nuovo Direttore generale dell’Asp di Palermo, l’Azienda sanitaria più importante dell’Isola. Dall’addio di Faraoni, divenuta assessore, non si è mossa un’unghia: l’interim è stato affidato al Direttore sanitario. I continui rinvii sono attribuiti ad altre pressioni esercitate dalla politica: i patrioti contendono a Forza Italia la poltrona di Direttore della Pianificazione strategica, su cui siederà Salvatore Iacolino per i prossimi quattro mesi e mezzo. Ma non oltre. Il commissario di FdI Sbardella, d’accordo con Razza, ha imposto che l’incarico sia assegnato attraverso un atto d’interpello interno: il candidato numero uno è Mario La Rocca, attuale dirigente ai Beni culturali. Ma in questo gioco a scacchi prevalgono strategia e attendismo, con ricadute inevitabili sul funzionamento dei presidi.
Uno dei pochi a cavarsela è proprio Iacolino, che ieri ha chiuso un principio d’accordo con le strutture convenzionate per l’aumento degli aggregati di spesa per l’anno in corso, pari a oltre 6 milioni di euro in più rispetto al 2024. Le branche a visita riceveranno la quota maggiore (circa 2,5 milioni), seguite dai laboratori di analisi (quasi 2 milioni), mentre Radiologia e Medicina nucleare si divideranno il resto. Rassicurazioni sono arrivate anche sui tempi di pagamento: il decreto per l’erogazione dell’intero budget dovrebbe arrivare prima dell’estate, con liquidazione prevista entro giugno, anziché a novembre come negli anni precedenti.
Per fronteggiare i tagli fino al 60% imposti dal nuovo Tariffario, inoltre, il governo regionale ha stanziato 15 milioni di euro come “paracadute”: 9,7 milioni ai laboratori, 4,7 alla Fisiatria e 600 mila alla Cardiologia. Le strutture si dicono solo parzialmente soddisfatte, temendo che queste risorse non bastino a coprire i maggiori costi operativi. Anche se l’ultima parola sulla vicenda spetta all’Ars, dove in tempi relativamente brevi dovrebbero arrivare le variazioni di bilancio che includono questo tesoretto: Schifani è stato bravo a ottenere da Roma una deroga al Piano di rientro, che da 18 anni blocca la nuova spesa sanitaria; ma la sua maggioranza – con questi chiari di luna – non può rischiare di rovinare tutto e far saltare gli accordi. Sarebbe come dare un calcio al secchio del latte già munto.