Sembra il veglione di Capodanno. Ma stavolta l’attesa non è per i festeggiamenti in piazza organizzati con i lauti contributi della Regione. Bensì per la prossima testa che cadrà (forse quella di “Uomo 6”). Ad ogni modo, se ne sono viste già troppe perché Schifani assista in silenzio. Certo, il governatore non potrà fare nulla per rimuovere Gaetano Galvagno dalla poltrona più autorevole (oggi scomodissima) di Sala d’Ercole. Dovrebbe pensarci lui stesso… Ma visto che l’acqua sporca s’è infiltrata pure dalle parti di Palazzo d’Orleans, la decisione più praticabile sarebbe quella di togliere l’assessorato regionale al Turismo a Fratelli d’Italia. Non ad Elvira Amata, che risulta anch’essa indagata per corruzione, ma al partito che rappresenta. Che è cosa assai diversa.

Schifani si è adirato spesso nel corso di questa legislatura: se l’è presa coi burocrati, con la ditta aggiudicataria dei lavori del Castello Utveggio, coi dirigenti dell’Anas. Ha provocato le dimissioni dei subcommissari dell’A19 Palermo-Catania dopo le code del 2 giugno. Ma non ha quasi mai alzato un sopracciglio rispetto alle modalità spregiudicate con cui il partito di maggioranza relativa ha maneggiato il turismo e la cultura. L’unica volta che ha provato a farlo – dopo aver ritirato in autotutela l’affidamento diretto ad Absolute Blue per l’organizzazione di uno shooting fotografico a Cannes – non è riuscito nemmeno a ottenere l’obiettivo minimo: cioè il licenziamento dell’allora assessore Francesco Paolo Scarpinato. Fratelli d’Italia, che dettava legge, ha disposto un’inversione di deleghe con la Amata: lei al Turismo, lui ai Beni culturali. E tutti contenti, compreso il Balilla.

Oggi, però, la situazione è precipitata. Non c’è un dirigente di partito, più o meno addentro alle questioni della cultura, che non sia toccato dallo scandalo che ha rovesciato in quattro e quattr’otto le prospettive di Gaetano Galvagno. Da enfant prodige della politica siciliana a indagato di lusso (non solo per corruzione ma anche per peculato). Quelli come Sabrina De Capitani non hanno un partito, ma solo una spasmodica ossessione per il potere: almeno in privato, considerato il fitto carteggio dei magistrati nei suoi confronti, avrebbero dovuto chiedere a Galvagno di rimuoverla dall’incarico di portavoce e di faccendiera (ha fatto da sola, dimettendosi). Ma al netto della zarina ex Mediaset, tutti i protagonisti di questa vicenda bizzarra portano il marchio dei patrioti.

La Amata, a cui la De Capitani avrebbe voluto destinare – magari in cambio di un adeguato contributo – un reportage su Vogue, è esponente di FdI e allieva di Manlio Messina. Molte voci delle ultime manovre finanziarie portano il suo zampino: se i soldi finiscono nel Messinese sai che lei c’entra, essendo l’esponente di spicco di quella provincia. Ma Amata è anche quella che avrebbe voluto dare seguito a SeeSicily, definendolo un grande successo, se solo la Commissione europea non avesse revocato venti milioni di finanziamenti diretti al suo assessorato per aver ritenuto alcune spese “non ammissibili” (c’era un plafond di quasi 24 milioni per la comunicazione). È la stessa che di recente ha sfilato sulla passerella allestita dalla Fondazione Taormina Arte, al fianco di Martin Scorsese e Michael Douglas, per il Taormina Film Festival (cui la Regione ha contribuito con mezzo milione); e che ha permesso un investimento da oltre 100 mila euro per l’Ufficio stampa del Sicilia Jazz Festival, a beneficio di una società catanese. E numerosi altri precedenti: dagli incarichi conferiti alla maestra Gianna Fratta, project manager del Bellini International Context, agli affidamenti diretti per i soliti servizi promo-pubblicitari a ditte fidate.

Nel giro grosso, quello che la Procura di Palermo e la Procura della Corte dei Conti hanno spulciato da cima a fondo, compaiono alcuni personaggi molto in voga a cavallo delle ultime due legislature (a prescindere dal fatto che siano indagati o meno). Ci sono l’attuale coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia a Catania, Alberto Cardillo; il potente capo di gabinetto vicario dell’assessore al Turismo, Giuseppe Martino; l’ex capo del dipartimento al Turismo, “reintegrata” come capo di gabinetto del medesimo assessorato, Lucia Di Fatta; il dirigente della Sicilia Film Commission, già RUP nelle varie edizioni del Festival di Cannes, Nicola Tarantino; senza dimenticare i vari assistenti di Galvagno, come il segretario particolare Giuseppe Cinquemani o l’addetto stampa Salvatore Pintaudi. E poi ci sono tutti quelli che ruotano nell’orbita del sistema, dei quali nessuno s’interroga mai: un cliente di qua, un pagnottista di là. Fratelli d’Italia è diventato un abbeveratoio per tanti. Troppi.

In Sicilia la politica ha già perso la faccia. Ha atteso che si svegliasse qualcuno – non tutti – dell’opposizione per reclamare un dibattito all’Ars con le comunicazioni da parte del presidente (che poi dovrà scappare a Bruxelles: pertanto non sembra avere alcuna intenzione di dimettersi). Galvagno baserà la sua difesa sulla presunzione d’innocenza, sulla fiducia nella magistratura, sul circo mediatico dei giornali. Ma nessuno in questi giorni neri ha preso le sue difese: né Ignazio La Russa, il padrino politico di “Gae” (come lo chiama in privato la De Capitani); tanto meno Giorgia Meloni, che si era adirata per Auteri (fino a provocare il terremoto del commissariamento) ma non ha espresso una parola di condanna per la deriva dei rapporti di uno dei suoi uomini di punta.

Le carte dell’inchiesta sono un ritratto fedele di come funzionano le cose; del limite (valicato) fra interesse pubblico e amichettismo, fra consulenza e raccomandazione; della disconnessione totale fra contributo e mancia; della penetrabilità dei palazzi agli interessi privati. In tutta franchezza, non saranno un processo o una condanna ad aggravare il quadro di una politica ridotta a bazar. Ecco perché la concentrazione degli scandali nello stesso ramo d’amministrazione – il turismo – dovrebbe far pendere la bilancia tutta da una parte e convincere il governatore a dare una sterzata netta, decisa, necessaria, rapida. Visto che nessuno, ancora una volta, si azzarderà a pronunciare quella parolina magica: dimissioni…