Nel bilancio della Regione per investimenti c’è poco e quel poco viene anche sprecato.
I finanziamenti europei non si spendono o si spendono solo in parte e tutte le volte che questo brillante risultato viene alla luce, i politici strillano, buttano la palla in curva, attribuiscono ad altri la responsabilità, alla burocrazia in particolare, che di sua ne ha tanta. Chiamano in causa i dirigenti da loro stessi nominati. È successo nel passato e puntualmente capita anche ora per i fondi del PNRR.
Schifani e la sua giunta hanno scelto i vertici dei dipartimenti a febbraio scorso, con criteri che certo non hanno tenuto conto della competenza di ciascuno, ché se poi quella c’era, bene, in ogni caso non risultava uno dei requisiti richiesti, per lo meno non il più importante.
Quella scelta è avvenuta al termine di una trattativa stringente, serrata, uno per uno, tra i partiti della maggioranza. E chi non aveva santi in paradiso è rimasto fuori o non è stato riconfermato, come è capitato con chi dirigeva il settore dell’Istruzione, che pure aveva impegnato una somma percentualmente maggiore rispetto agli altri.
Quando si scopre che dei due miliardi di euro solo il 26% è stato per così dire prenotato e solo il 7% rendicontato, la politica si dichiara irresponsabile e si autoassolve. Schifani prende carta e penna e striglia i dirigenti, minacciandoli di non rinnovare il loro contratto.
Si capisce che nessuno lo aveva informato dell’andamento della spesa, che non esiste un ufficio che monitora ciò che avviene in ciascun settore, o che forse il presidente della Regione e i suoi assessori non hanno avuto alcuna particolare curiosità per lo stato delle cose.
È questa una condizione che non si può attribuire alla responsabilità di chi governa oggi. Ormai da anni si sa che la burocrazia regionale è vecchia, farraginosa, inadeguata, numericamente insufficiente, che da anni non si selezionano più nuove professionalità in grado di conoscere la complessità dei problemi odierni e di utilizzare gli strumenti per assicurare i servizi, in particolare in alcuni settori come quello della sanità, della cultura, del turismo, dell’urbanistica.
Coloro che si sono susseguiti alla guida della Regione si sono rifiutati di confrontarsi con questa realtà, di mettere mano ad una riforma indispensabile. Hanno continuato a parcellizzare, semmai, le nomine, a scegliere i fedeli, e la burocrazia è diventata puntello di governi che non governano, equipaggio di quel pachidermico veliero che compie un percorso virtuale, tenendo accesi i motori e naturalmente sprecando risorse.
Ciò che conta è altro.
È il balletto stucchevole delle alleanze, il vorticoso valzer dei passaggi da un campo all’altro dei partiti, di alleanze che al loro interno si compongono e si scompongono senza pudore, senza neppure uno sguardo fugace alla realtà isolana e ai suoi problemi.
S’indigna il presidente della Regione, per i rischi di dovere restituire all’Europa gran parte dei soldi destinati alla Sicilia sul PNRR, di mancare il prevedibile aumento del prodotto interno lordo – quando se ne prevede la riduzione – con il loro impiego, di perdere la sollecitazione all’economia determinandone una crescita, di incrementare i posti di lavoro, di utilizzare, in una parola, l’unica opportunità di investimenti considerevoli da parte dei pubblici poteri.
S’indigna ma continua ad utilizzare gli stessi criteri adottati a febbraio, come ha fatto per le più recenti nomine nella Sanità e in altri settori del potere regionale.
Ciò che conta è sapere se la Lega, la Nuova democrazia cristiana, i Fratelli d’Italia e via cantando, sosterranno Schifani per le prossime elezioni o se lo scaricheranno.
E’ una condizione questa che induce magari a qualche forma di moralismo, ad una sorta di populismo da scrivania.
Certo, se avessi qualcosa di diverso da commentare lo farei volentieri, ma senza volerlo rischio di apparire come colui che non avendo più la possibilità di trasgredire nell’esercizio del potere, insegna la morale agli altri. Quando ero parte anch’io di un mondo con pratiche non sempre esemplari, di quel mondo denunciavo inadempienze e malefatte, ma anche davo conto di risultati e di successi.
A quel tempo, indulgendo sui nostri difetti, ci divertivamo a dire che, se si dovevano assumere nuovi giornalisti alla RAI, uno di loro era democristiano, l’altro comunista, il terzo socialista e il quarto uno bravo.
Se ora la politica quello bravo non lo sceglie – e se ce n’è magari qualcuno si tenta di intimidirlo con le bombe -, risulta difficile raccontare pregi insieme a difetti.
Si può apparire moralisti ma si racconta la verità.