La leggerezza di Pif è sostenibile, o meglio, simpaticamente applaudita, un po’ in tutta Italia, isole comprese si potrebbe dire al plurale se nella sua, la Sicilia, e nello specifico nella sua città, a Palermo, non fosse spesso quasi insostenibile. Tutta invidia, direbbe qualcuno volendo cavarsela con il successo arriso allo scrittore-autore&conduttore radiotv-attore-regista-artista impegnato nel sociale-testimonial della Tim e dell’antimafia senza cravatta e parrucca, e chi più ne ha più ne metta, seguendo il motto «cu niesci arrinièsci». Un successo praticamente globale, dal cinema alla tv, dai programmi di nicchia «fai-da-te» con telecamerina in mano su Mtv alle fiction di grande successo d’ascolti su Rai1, dalle prime posizioni in classifica dei suoi film nei cinema ai picchi di Audiradio per le sue performance davanti a un microfono.

Qui non si tratta di profeta e nemmeno di patria, qui si tratta di un atteggiamento di sufficienza, per non dire di dichiarata antipatia o di palese ostilità. Che venne fuori, tracimò, non fu più arginabile, come l’incontenibile rigurgito di un lattante, in un momento che restò top nella popolarità piffiana. Già «figlio» della Leopolda renziana che lo consacrò sparigliatore di carte sul già allora fumoso tavolo verde dei maggiorenti del Partito Democratico (l’intemerata contro Mirello Crisafulli e i suoi baci sulle guance a personaggi “discussi” finì per annebbiare la scespiriana orazione funebre di Antonio nel «Giulio Cesare»), Pif mise le dita negli occhi (quasi letteralmente) ad un altro non simpatico, l’ex presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta, assurgendo a paladino dei diritti dei disabili privati dal vergognoso tergiversare del governo isolano sui soldi messi a disposizione delle famiglie per la loro assistenza. Cazziatone al cellulare, con la giugulare gonfia come avesse segnato il Palermo, seguito da cazziatone de visu, quello delle dita negli occhi. Telecamere a centinaia, occhi addosso a milioni. Successo? Di più. Un tripudio. Ma anche un aggrottar di sopracciglia.

Quella pubblica uscita impressionò infatti non poco ma come tutte le «invasioni di campo» dei giullari negli affari che al di là del far ridere loro non competono, e pur senza le ambizioni monstre e gli esiti cabarettistici di Grillo & partners, a Pif venne addebitata come un’ingerenza impropria, un po’ come il monologo fiorentino di qualche tempo prima, forse questa ancor di più visto che, nonostante la missione sociale, la ribalta dei convegni politici è sempre stata avvezza alla presenza di nani e ballerine.

«Pif…favùri» fu il tormentone social – quasi una ‘nciùria – nelle settimane successive su Palermo e dintorni. E tutti a chiedere ironicamente interventi pubblici o privati di Pif vuoi che ci fosse una lampione al buio in periferia o che si rompesse lo sciacquone in bagno. «Pif l’avete chiamato…?».

Adesso Pier Francesco Diliberto (fa così all’anagrafe) è atteso al varco. Perché per la prima volta, lui che ha irriso la mafia, raccontandola senza errori od omissioni, con gli occhi di un ragazzino – sia nel film d’esordio che nella fortunata serie televisiva che ne è scaturita –, lui che dall’antimafia parolaia e in grisaglia si è sempre tenuto lontano prediligendo una narrazione sì senza sconti ma antiretorica, un po’ poetica se vogliamo, un po’ alla caramella di carruba o d’anice, lui si troverà per la prima volta, da domani, senza l’ombrello – o se volete – senza il paracadute di mafia e antimafia, catapultato in una storia surreale di uomo comune già morto che reclama il diritto di tornare in vita solo per un breve tempo supplementare, nel film di Daniele Luchetti «Momenti di trascurabile felicità», prodotto dal suo agente Beppe Caschetto e tratto dai libriccini-cataloghi-vademecum di Francesco Piccolo (l’uno omonimo, l’altro con «infelicità» al posto di «felicità») scrittore con il quale Pif gira anche per i teatri a portare serate su questi massimi e minimi sistemi.

Da Pif ci si aspetta Pif, è vero, ma proprio stavolta – al di là della mafiologia, al di là del personaggio multimediale e sociale, al di là della sua “voce narrante” che dovrebbe una volta per tutte scrollarsi di dosso (ma è la sua cifra, d’altronde, anche se a volte è pesante come un mutuo) – un personaggio di pura creazione dovrebbe essere il grimaldello buono per conquistare la simpatia piena, per convincere quel “per cento” di antipatizzanti e agnostici che ancora non è riuscito a tirare a sé. Pare sia talmente romantico, nel film, talmente commovente, talmente ottimista nonostante l’aldilà gli conceda solo un’ora e 32 minuti per tornare a sistemare le sue cose sulla Terra – che ne hanno parlato quasi come di un James Stewart ispirato da Frank Capra. Che era di Bisacquino, se ricordate, anche lui nemo propheta