Non ci fosse il campionato di calcio europeo, sarebbe proprio vero che in estate i giornali fanno fatica a trovare notizie di rilievo e sono costretti perciò a tornare su argomenti noti e di scarso richiamo.

A chi può interessare che in Assemblea un deputato su tre ha cambiato partito e che i consigli comunali di Palermo e di Catania oggi hanno una composizione molto diversa da quella uscita dal voto? Chi può avere voglia di conoscere quante volte un eletto ha girovagato tra diverse forze politiche, e a chi pensate che la vicenda, che non riguarda solo la Sicilia, possa suscitare indignazione? A quanti è capitato per caso, per circostanze impreviste, di trovarsi ad occupare ruoli di rappresentanza istituzionale, a chi sta lì dove si trova perché cercava un mestiere, un modo per affermarsi, per quale ragione si dovrebbe chiedere coerenza, fermezza e testimonianza di valori? Se chi siede a Palazzo dei Normanni avesse scelto di fare il commerciante, nessuno lo avrebbe chiamato voltagabbana perché cambiava il fornitore della merce o perché vendeva roba diversa da quella consueta e più conveniente. Vi pare un paragone forzato? Forse lo è.

Ma, per molti, aderire ad un partito è come utilizzare un’autovettura, appena se ne trova una più comoda, si cambia. Senza scandalo. Certo, in campagna elettorale si è proposta una merce e su quella con l’elettore si è stipulato un patto: tu mi voti perché io sono di destra, di centro o di sinistra, perché ho questo programma che voglio portare avanti con il partito che mi ha candidato. E se poi cambio merce e posizione, ho imbrogliato l’elettore. Sono un impostore, un truffatore. O dovrei esserlo se l’elettore mi percepisse come tale. Ma se così mi dovesse vedere, se, incontrandomi, mi subissasse di improperi, mi mettesse al bando come chi tradisce la parola data, se non mi votasse più, forse sarei più cauto, sarei indotto ad avere maggiore rispetto per me e per chi mi ha scelto.

Molti anni fa, un consigliere comunale del mio paese lasciò il partito nel quale era stato eletto per aderire alla maggioranza. Aveva come soprannome Gallo. Da quel momento, Gallo divenne sinonimo di traditore e la “società civile” del luogo lo mise al bando, inducendo il poveretto ad emigrare per sottrarsi al generale disprezzo. I tempi cambiano. Cambiano i partiti che diventano taxi come lo erano per Enrico Mattei. Lui comunque, usandoli, portava il petrolio e il gas per lo sviluppo del Paese, questi, passando da uno all’altro, cercano di portare il pasto a casa. Nella generale indifferenza della “società civile”. Di quella cosa che una insopportabile e vacua retorica da tempo ha elevato al ruolo di depositaria di virtù e di valori, di quella società “civile” – aggettivo quanto mai abusato e improprio – che, per definizione, sarebbe migliore di quella politica.

Per fare qualche riferimento, tra coloro che hanno cambiato partito c’è il presidente del consiglio comunale di Palermo. Per anni ha lasciato con grande soddisfazione che il suo cognome si confondesse con quello del sindaco, traendone vantaggi elettorali e di immagine. Per anni è andata così. Due Orlandi a Palazzo delle Aquile, che manco ad Ariosto o a Ciccio Busacca sarebbero mai venuti in mente. Poi, la copia ha capito che l’Orlando originale, quello vero, ha perduto molta della capacità di traino e ora rischia di essere un ostacolo alle sue prospettive future. Si stacca e va in un altro partito. Tutti hanno compreso. Pochi hanno giudicato negativamente. Per lo “gnuri” che, con la sua carrozza, staziona accanto alle statue di Piazza della Vergogna, “bonu fici”. Ai cinque deputati regionali eletti nel Movimento di Grillo e passati in maggioranza, la scelta non ha creato particolari traumi. Dovevano cambiare la Sicilia e la politica che per decenni l’aveva sgovernata. La politica ha cambiato loro. Se ne sono resi conto e, annullando la rivoluzione, si sono accodati a chi governa.

Per tornare alla domanda iniziale, ma vi paiono queste notizie importanti? Sono solo piccole operazioni di mercato. Perché per molti, non per tutti per fortuna, a un mercato o a poco più è ridotta la politica, a una fiera che si svolge all’aperto sotto gli occhi indifferenti, ammirati o perfino invidiosi – se fossi al suo posto farei anch’io così – di gran parte della “società civile”.

Che a sentirne parlare c’è da metter mano alla pistola.