Due cose con Agrigento non si prendono. L’acqua e la cultura.

Per capire le ragioni del primo dissidio occorre risalire ad Empedocle, al quale venne in mente di inserire l’acqua tra i quattro elementi che, mescolandosi, provocano amicizia o contesa. Da quel momento è stata l’acqua a determinare il contrasto che ha investito in modo permanente la città.

Da sempre, infatti, arriva raramente e se arriva non trova la direzione giusta, finendo, anziché nei rubinetti, nei posti più diversi e improbabili.

Anziché dissetare crea problemi.

In questo “meraviglioso” anno della cultura si è infiltrata sul palcoscenico e sulle poltrone del teatro Pirandello, ha vagato per le strade alla ricerca dei tombini murati dalla colata di asfalto e di recente ha trasformato in acquitrino una delle piazze centrali, di fronte all’ufficio delle Poste e della Prefettura.

Quando si è deciso di finanziare i lavori per incanalarla nel senso giusto rifacendo la rete e migliorando l’approvvigionamento, prima di mettere mano all’impresa, alcuni hanno tentato di trarre un vantaggio privato da quel bene pubblico. Hanno lasciato le tracce e l’imbroglio è stato scoperto. Giusto come successe ad Empedocle che, buttandosi nell’Etna, voleva far credere di essere stato rapito in cielo dagli dèi. Poi il vulcano risputò uno dei suoi sandali. La memoria del filosofo rimase intatta, quella del mago venne intaccata.

In un modo o nell’altro, comunque, la sciarra tra l’acqua e la città dei templi è antica e a quanto pare incomponibile.

Quanto alla cultura, la questione è più recente, anche perché la storia di Agrigento di cultura è intrisa. Da qui e dai luoghi ad essa circostanti sono venuti alcune tra le migliori espressioni della letteratura italiana moderna e contemporanea. Poi qualcosa dev’essere andato storto. Tre anni fa si è pensato che quella tradizione e ancor più la coincidenza del colore politico tra chi governa Roma e chi amministra Agrigento, potessero essere una garanzia per un valido programma culturale. Naturalmente sarebbe stato gestito dai “Fratelli”, che se di quella materia risultavano del tutto sprovveduti, comunque “Fratelli d’Italia” rimanevano. La coincidenza in effetti c’è stata e si è manifestata in pieno sul terreno dell’insipienza, dell’incapacità e dell’incultura.

L’ultimo anello di una bella catena di “trionfi” risale a pochi giorni fa, quando nella sala Zeus del museo archeologico, dove incombe un enorme Telamone, si è svolto un convegno sul tema Aggregazione e disgregazione. Mescolanza e separazione, che sembra attagliarsi perfettamente all’amicizia e alla contesa di Empedocle.

L’amministrazione comunale aveva invitato il rettore dell’università del Salento, il presidente del centro universitario europeo per i beni culturali e il responsabile del centro studi di Federculture, l’ex ministro Alberto Bonisoli. Sono venuti a presentare quelle che loro chiamano “le raccomandazioni” di Ravello Lab, una iniziativa che si svolge annualmente dal 2006 e che, nella sua ultima edizione, ha riguardato le più recenti frontiere della cultura: l’intelligenza artificiale e i nuovi strumenti digitali.

Un tema, come si vede, di grande interesse ed attualità esposto da un parterre non comune. In quella sala, ad ascoltare i quattro relatori, erano presenti ben tredici persone, compresi tre ragazzi di un istituto superiore condotti lì da uno dei loro professori.

Il sindaco aveva fatto le cose per bene, aveva organizzato un’accoglienza amichevole, anche con abbondanti pasticcini e bevande. Poi i vassoi con quel ben di Dio per carenza di avventori sono rimasti intatti e sono finiti ad un’istituzione di beneficenza. Il sindaco aveva dimenticato solo di invitare i cittadini, a cominciare dai suoi assessori e dai consiglieri comunali.

La vicenda, come le altre che hanno inanellato una serie di insuccessi e di figuracce, ormai non preoccupa più nessuno, non suscita curiosità né indignazione. Tutto avviene, quel poco che avviene, nella generale indifferenza.

Chi scrive, insieme ad altri, aveva dato vita ad un Osservatorio per monitorare le iniziative, con l’obiettivo di dare un contributo alla fondazione “Capitale della cultura” e di raccordarla con le associazioni cittadine e con tutti gli agrigentini.

L’iniziale manifestazione di interesse gradualmente si è afflosciata. Alcuni hanno capito che non c’era nulla da osservare, altri hanno aspettato invano di scorgere all’orizzonte l’eventuale finanziamento di progetti da loro elaborati. Alla fine si è riposto il binocolo e tutto procede – anzi rimane fermo, come ahimè succede per altre situazioni nel resto della Sicilia e non solo.

Che bel popolo, questo nostro! Tollerante, paziente, indifferente. Navighiamo a bordo della nave, avvertiamo il rischio che affondi e con un’alzata di spalle ci diciamo, come quel mio compaesano che, alla fine del XIX secolo, attraversava l’oceano per gli Stati Uniti d’America del tutto impassibile nel mezzo di una tempesta: “A cu la cunta, chi è meia la navi?”.

Il sindaco di Agrigento, di fronte all’affollata partecipazione al recente convegno, magari avrà pensato ai dolci e alle bevande rimasti nei vassoi. Sicuramente non ha avuto invece nessuna preoccupazione per improbabili reazioni dei suoi concittadini all’ennesimo fallimento di una sua iniziativa. Ché poi le reazioni si manifestano e esaurendosi in un mormorio, a prova della rassegnata estraneità di chi quando andrà a votare, se ci andrà, sceglierà le stesse persone che hanno avuto il “merito” di gestire alla grande la capitale della cultura o altri comunque della medesima parte.

Del resto, chi dovrebbe scegliere in alternativa? Megliu lu tintu canusciutu ca lu bonu che non esiste e non si intravede neppure all’orizzonte.