Un giro sulla ruota panoramica non si nega a nessuno. E così anche Francesco Scoma, renziano deluso, passa da Italia Viva al Carroccio. A Roma sono 267 i cambi di casacca dall’inizio della legislatura (dati Openpolis aggiornati all’11 settembre), di cui 119 solo nell’ultimo anno. Uno dei momenti più difficili per Salvini da quando è segretario – s’avanza la “frangia governista” di Giorgetti e Zaia – coincide con il periodo di massimo splendore della Lega siciliana. La squadra capitana da Nino Minardo, con Scoma, aggiunge un’altra freccia al proprio arco. L’ex vicesindaco di Palermo, che stavolta vorrebbe candidarsi a sindaco, ha spiegato che di Salvini “mi piacciono le idee, condivido il suo approccio politico”. “Non mi sento un trasformista – ha aggiunto – perché ora vado nell’area politica in cui sono stato eletto. Visto che sono fermamente legato ai miei valori di centro, torno da dove ero partito”.

Scoma era partito da Forza Italia. Ma dopo qualche frizione con Gianfranco Micciché (“E’ chiuso nel suo fortino, nel partito non esiste più dialettica”), a maggio 2020 aveva scelto Renzi. Passando dall’altro lato della barricata. Questi giochi d’equilibrismo terminano, almeno per il momento, col trasferimento alla Lega. Il Carroccio, in questa fase storica, rappresenta un autentico luna park della politica, oltre che il (bari)centro individuato da Scoma e da altri per guadagnarsi una vetrina in vista delle prossime elezioni. Nonostante gli ultimi sondaggi poco appariscenti, in cui il partito di Salvini è sopraffatto dai Fratelli d’Italia della Meloni e appaiato al secondo posto col Pd. Livelli ben distanti da quelli toccati nel 2019, in occasione delle elezioni Europee, quando il Capitano, forte del proprio ruolo all’interno del Conte-1, raggiunse il 34% a livello nazionale, superando il 20 per cento nell’Isola. Quei numeri sono svaniti, eppure all’ingresso c’è la fila.

Solo nelle ultime settimane hanno aderito personaggi di grande calibro: da Luca Sammartino, il deputato più votato all’Ars nel 2017, alla senatrice Valeria Sudano, entrambi di provenienza “mista” (prima Pd, poi Italia Viva); da Giovanni Cafeo a Marianna Caronia, passando per Carmelo Pullara, ras delle preferenze nell’Agrigentino. Prima ancora, sempre da Forza Italia, erano arrivati Nino Germanà e lo stesso Nino Minardo, che è stato promosso segretario. Poi Vincenzo Figuccia, un pezzo da novanta nel Palermitano, assieme alla sorella Sabrina. E con loro, tanti esponenti del vecchio centrodestra, da Vincenzo Giambrone a Vincenzo Fontana. Minardo ha raggiunto la sua missione: rendere questa Lega terrona un partito di “moderati”. E, al netto delle fibrillazioni interne (smentite dal diretto interessato), i numeri gli danno ragione.

La Lega è una squadra variegata, con una classe dirigente sempre più esperta e un bacino elettorale che va allargandosi. Sono tanti i portatori di voti, e sono tantissimi i deputati all’Assemblea regionale: sette. Da qui a fine legislatura potrebbero aumentare. Una situazione nuova, dato che il Carroccio era partito con un solo parlamentare (Tony Rizzotto), collocato fra l’altro nel gruppo Misto. In quattro anni è cambiato il mondo: Salvini, dopo gli ultimi innesti, ha dichiarato apertamente di ambire a palazzo d’Orleans, sconfessando Musumeci, il suo operato e la sua squadra. La Lega al momento resta partner di governo – leale ma critico – con un futuro tutto da ridiscutere. E’ quello che si aspetta Minardo, che già nei prossimi giorni chiederà un incontro al presidente della Regione “per poterci confrontare e stabilire insieme come andare avanti”. Si parlerà di programmi, mentre il tema delle alleanze e del prossimo candidato verrà affrontato più avanti. Checché se ne dica, la scelta non esula da un confronto coi leader nazionali di partito: la Lega, sulla base dei precedenti, ha qualche chance in più di spuntarla rispetto a FdI.

Detto questo, però, rimangono sul tavolo questioni irrisolte. L’arrivo di Scoma non è banale perché include un’altra partita: la successione di Orlando a Palermo. A destra non mancano i pretendenti: Scoma si era candidato da renziano, in nome e per conto di un centro che sulla sua persona – forse – avrebbe superato gli steccati ideologici. Della serie: Forza Italia sarebbe stata pronta a sostenere un candidato di Italia Viva. Questo cambio di prospettiva, invece, porta dritto ad altre considerazioni. La prima – banale – è che la Lega non può avere tutto: o il candidato alla presidenza della Regione, o il candidato sindaco di Palermo. Indicare Scoma per il primo ruolo, significherebbe dover rinunciare all’ambizione di Salvini di proporre uno dei suoi (probabilmente lo stesso Minardo) alla carica di governatore. La seconda è che il perimetro della coalizione va riscritto: in assenza di un “grande centro”, con Diventerà Bellissima e Forza Italia figlie delle proprie contraddizioni, FdI e Carroccio (il partito di centrodestra più rappresentato a palazzo delle Lapidi con cinque consiglieri comunali) restano le travi portanti dell’alleanza di centrodestra. Servirà il loro lasciapassare per una candidatura “esterna”, come nel caso di Lagalla, o le ipotesi più sfumate che vedono in lizza Saverio Romano, Gaetano Armao e Alessandro Aricò.

Fare calcoli è ancora prematuro, ma nel giro di qualche mese la Lega è riuscita a sovvertire gli equilibri politici. Resta sottilissimo il filo che separa il progetto politico di Salvini e Minardo, dall’opportunismo di alcuni personaggi in cerca d’autore. Ma è un rischio che, a differenza del predecessore Candiani, il segretario ha voluto correre: “Qui c’è spazio per tutti. Io farò da garante”, ha detto qualche giorno fa in un’intervista a Buttanissima, dove ha confermato piccoli problemi d’amalgama. Ieri l’ha ribadito: “Grazie al lavoro di Matteo Salvini e di tutta la nostra classe dirigente nazionale e regionale, la squadra della Lega Sicilia oggi è sempre più forte sui territori”.

Un progetto in espansione, che non si è ancora misurato con la volontà popolare, e che forse – più che dai malpancisti interni – deve guardarsi dallo stesso Salvini. Il segretario, dal Papeete in giù e dall’uscita dal governo gialloverde, non è più lo stesso. E’ alla continua ricerca di un nemico (dentro l’esecutivo), fa mille giravolte (sui temi dell’emergenza sanitaria) e non riesce a contenere il malessere dell’ala governista del partito. Ma neanche di quella più ortodossa, che all’ultima votazione alla Camera sul Green pass ha dato forfait. La Donato, addirittura, ha fatto le valigie e se n’è andata. A questo si aggiunge una nuova fase di tensione con le alte sfere di Forza Italia. Fino a un mese fa sembrava volerci fare un partito insieme, l’altro ieri gli ha strappato due consiglieri lombardi e l’ex presidente della provincia di Lecco, facendo sbottare (in privato) il vecchio Berlusconi. Anche l’ingordigia, per certi versi, gli si potrebbe ritorcere contro. In Sicilia, fin qui, non ha rappresentato un problema.