Sul duetto Scilla-Musumeci c’era già un precedente. Alla conferenza stampa di presentazione dell’Accademia del Tonno rosso, a Palermo, erano i giorni in cui Micciché – dichiaratamente – aveva detto di non voler sostenere la ricandidatura del governatore. Che non riuscendo a dissimulare il fastidio, si risentì pubblicamente. Quando passa la parola a Scilla, l’assessore accenna un applauso. Musumeci lo interrompe, così il titolare della Pesca ribatte: “Quando alle conferenze stampa parla il presidente, di solito gli assessori non intervengono” dice in tono stizzito. “Non fare il ruffiano”, lo gela Musumeci. Mentre Scilla è nel pieno del suo discorso, il governatore si alza dal tavolo, saluta i relatori e se ne va. “Le conferenze stampa devono durare 20 minuti, non possono durare un’ora”, taglia corto. Semplici marachelle che restituiscono il quadro generale. Da un lato l’ossessione compulsiva del governatore, la cui unica ambizione è apprendere dai partiti che sarà ricandidato; dall’altro, la fatica a separare il ruolo da leader politico a quello da massimo rappresentante istituzionale. Chi non ha aderito al partito del presidente, non merita omaggio. Gli spetta, al massimo, l’onore di uno sfottò. E giù a ridere.