“Quando fai un film da un tuo romanzo, scatta sempre una strana molla che ti svela qualcosa di inedito, di inatteso che nelle righe non avevi scritto. Non so dire cosa sia, certamente c’entra con il fatto che i personaggi prendano corpo e voce, che i luoghi e gli ambienti che avevi soltanto immaginato a parole acquistino forma di case e suppellettili, di strade e palazzi”. È la seconda volta che capita, a Roberto Andò che aveva già trasferito sullo schermo Il trono vuoto in Viva la vita. Adesso accade sul set de Il bambino nascosto (il libro è uscito a gennaio per La Nave di Teseo) i cui esterni si girano per tutto ottobre a Napoli, a Materdei, a ridosso della Sanità. Se la casa dell’insegnante di pianoforte che nasconde nel suo appartamento un ragazzino di dieci anni – figlio di un mezzo camorrista che il padre ha intenzione di “consegnare” ai criminali per fargli espiare la colpa di uno scippo che non andava fatto – è stata allestita il mese scorso a Cinecittà, è qui, ora, tra un androne, un cortile, vere mura domestiche e le aule del Conservatorio di San Pietro a Majella, tra balconi e vicoli, che la storia palpita con maggiore intensità.

Il professore è Silvio Orlando, all’apice della sua maturità d’attore, il bambino è Giuseppe Pirozzi, dieci anni come il bambino del romanzo, napoletano, «un talento autentico», garantisce il regista. «Non si conoscevano, li ho fatti incontrare soltanto una volta prima che si battesse il ciak d’inizio – racconta Andò – e così tutto è cresciuto sul set, si è passati pian piano, anche sul versante umano, dalla diffidenza, dall’estraneità con cui si osservano l’un l’altro il bambino e l’insegnante di pianoforte – due mondi distanti tra loro – alla confidenza, alla complicità, all’amore tra i due, un sentimento dettato dal desiderio inappagato di paternità dell’adulto e anche dalla curiosità del bambino d’essere forse un figlio diverso, quel figlio che non è mai stato. Amore comunque, perché fondamentalmente credo che questo sia un film sull’amore».

Napoli era già nelle vene di Andò perché in città ha lavorato più volte ancor prima di diventare (dallo scorso gennaio) direttore dello Stabile-Teatro Nazionale. «Prima dei luoghi, dei suoni e dei volti che stanno avvolgendo il set in questi giorni, il romanzo aveva avuto qui un’accoglienza straordinaria, non solo da parte dei lettori comuni ma anche di artisti, intellettuali, gente impegnata nel sociale. Questo crinale tra crimine e legalità sul quale corre la storia lo sto ritrovando in certi ambienti, in certi rapporti proprio come lo avevo pensato quando scrivevo, come se in me ci fosse una memoria immaginativa, una traccia sotterranea di Napoli e della sua anima».

Oltre che un film sull’amore, Il bambino nascosto ripropone il tema del maestro e del discepolo che è stato un segno distintivo del percorso artistico di Andò: «È vero, già da Il manoscritto del principe su Tomasi di Lampedusa e Francesco Piccolo, c’è questo filo rosso pedagogico-amoroso: stavolta, avendo io ormai la stessa età di Tomasi ai tempi della pubblicazione de Il gattopardo, lo vivo dalla parte adulta. Il professore di piano de Il bambino nascosto in fondo ha vissuto un’esistenza in un continuo dialogo con se stesso e dunque vede nel ragazzino la possibilità di trasmettergli qualcosa, al di là dell’affetto, di lasciargli qualche insegnamento».

Slittata di cinque mesi a causa del Covid, la lavorazione del film procede spedita nonostante mascherine e distanziamenti. Che atmosfera c’è al “motore! azione!”? «È impressionante vedere la troupe tutta con le FFP2 sul volto però la novità è che si è tutti più concentrati, si parla molto meno, c’è una sorta di solennità che prima non si avvertiva, la felicità del fare si mescola con un atmosfera quasi religiosa, come officiare un rito.  Certo, poi c’è anche una non esplicita psicosi della sicurezza, ci sono i tamponi continui, magari l’allarme per un falso positivo che ti blocca per una giornata…».

Nonostante il tempo del virus, è pure imponente l’impegno di Andò per il primo cartellone da direttore dello Stabile partenopeo. «Ho varato una stagione vera – dice – non di monologhi ma con spettacoli importanti con più attori in scena, con temi forti anch’essi. Credo sia il segnale che, in un momento come questo, debba dare un teatro pubblico, una risposta seria, ferma, decisa». La prima proverà a darla lui stesso: dopo l’ultimo ciak, si metterà a tavolino con gli attori perPiazza degli eroi di Thomas Bernhard, protagonista Renato Carpentieri. Debutto il 2 dicembre, al Mercadante.