Ma Calenda e Renzi sanno chi è e quanto pesa politicamente il candidato scelto per la presidenza della Regione? Sanno quanti disastri ha combinato? Sanno che proviene dal centrodestra ed è stato fra i sostenitori più accaniti, fino alle ultime battute, per il bis di Musumeci, cioè un esponente di Fratelli d’Italia?

Azione e Italia Viva, quelli del terzo polo, mettono sul piatto “la competenza e la concretezza” dell’assessore all’Economia, senza ricordare (di proposito?) che Armao è stato l’artefice di cinque esercizi provvisori in cinque anni, mettendo la Regione, costretta a spendere in dodicesimi, con le spalle al muro. Dimenticando che si è fatto impugnare una marea di norme nell’ultima Finanziaria (28) e anche nelle precedenti; che ha presentato le Leggi di Stabilità all’ultimo giorno utile, mandando ai matti Sala d’Ercole (al punto da escludere, lo scorso maggio, il dibattito nelle commissioni parlamentari); che ha scatenato la reazione dei giudici contabili, quelli della Corte dei Conti, in sede di parificazione degli ultimi due rendiconti (approvati con riserva e, forse, qualche imbarazzo); che non ha vigilato a dovere sulle partecipate, come dimostra l’inchiesta della commissione regionale Antimafia sullo scandalo dell’Ast (oltre che della procura di Palermo), divenuto un verminaio di favori e clientele nella più totale inerzia dell’ente controllore: la Regione.

Avrà premuto sull’insularità (portata avanti con piglio soprattutto da alcuni deputati sardi), intessuto rapporti ai piani alti, coltivato rapporti di prim’ordine, contenuto il debito (come è scritto nell’opuscolo di 100 pagine a cui s’era aggrappato Musumeci per il bis); ma non ha mosso un’unghia sul mistero dell’Ente minerario, dove i 20 milioni a titolo di anticipazione della procedura di liquidazione erano spariti, e sono stati rinvenuti solo a seguito di un atto d’accesso parlamentare e parecchie discussioni. L’assessore Armao, inoltre, è stato protagonista (inconsapevole?) dello scandalo del censimento “fantasma” dei beni immobili della Regione, costato un centinaio di milioni di fondi pubblici: fu il primo, nel 2012, a opporsi al pagamento dell’ultima fattura nei confronti dell’avventuriero Bigotti (di cui era stato consulente) provocando un arbitrato che avrebbe portato a una ulteriore condanna da parte della Regione; fu l’ultimo a perdere la password per accedere al contenuto dei server della Spi, e poi a ritrovarla magicamente: i dati al suo interno risulteranno inservibili e ancora oggi il patrimonio immobiliare dell’ente è pressoché sconosciuto (un altro ‘bug’ che la Corte dei Conti non ci perdona).

E poi ci sarebbero altri singoli episodi che – se analizzati nel dettaglio – rischierebbero di far venire il mal di testa a Renzi e Calenda: a cominciare da un errore di 319 milioni (i cosiddetti ‘residui attivi’) che costrinsero la giunta, nel 2020, a ritirare il rendiconto in autotutela, dilatando a dismisura i tempi della parifica; mentre l’anno prima, a causa di un disallineamento da 400 milioni, fu lo stesso Musumeci – assai adirato – a chiedere un riaccertamento straordinario del bilancio a cura di professionisti esterni. Ma cosa vuoi che gliene importi di queste cose ai leader del Terzo polo? Azione e Italia Viva, d’altronde, sono nuovi sulla scena siciliana. Parliamo di una classe dirigente ancora acerba, se non addirittura in fasce, che, negli ultimi anni, ha bazzicato poco dalle parti di palazzo dei Normanni (se non fosse per la parentesi di Sammartino, Tamajo e D’Agostino, tutti migrati altrove).

L’unica cosa che conta, per loro, è avere un candidato alla presidenza. E l’occasione gliel’ha offerta lo stesso Armao, seguendo il percorso di Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna: fuori da Forza Italia. L’addio, che Armao non ha ufficializzato formalmente, giunge al termine di un’esperienza di governo che il ‘predestinato’ ha intrapreso per grazia ricevuta: fu Berlusconi, cinque anni fa, a volerlo come vice di Musumeci dopo aver caldeggiato – addirittura – la sua corsa per la presidenza. Evitandogli la strada tortuosa delle urne. Da leader degli Indignati e vicegovernatore fu un attimo. Senza un solo voto. “Sa perché il gruppo non l’accetta? – rifletteva Gianfranco Micciché su ‘La Sicilia’ – Perché non ha mai fatto il deputato. In tanti si sono fatti il mazzo alle elezioni, in tanti vorrebbero fare l’assessore, in tanti si reputano migliori. Quanto meno, se hai un ruolo senza esserti mai candidato, devi metterlo a disposizione degli altri. Se guardo i dati, non vedo che guadagno abbiamo avuto ad avere Armao assessore, che è arrivato lì gratis, senza cercarsi un voto”. L’ultimo episodio alla vigilia delle Amministrative di Palermo. Armao, durante un appuntamento forzista a Roma, aveva promesso di candidarsi al Consiglio comunale per dare una mano al partito (e l’ambizione di diventare il nuovo assessore al Bilancio). Nel volgere di qualche settimana cambiò idea, pur avendo raggiunto il centrodestra un accordo su Lagalla. Uno sfregio, l’ennesimo, nei confronti di FI.

Il rapporto fra Armao e Micicché, col primo che non ha esitato a chiederne la rimozione da coordinatore (arrivando a denunciare i luoghi in cui il secondo convocava le riunioni), si è riflesso sui rapporti fra Micciché e Musumeci, fra Musumeci e il parlamento. Il vicepresidente della Regione è entrato nel cerchio magico di Nello, ha partecipato alle sue convention, l’ha difeso allo stremo finché la coalizione non ha battuto i pugni. Infine se n’è andato, in punta di piedi, senza farsi notare. Non prima di aver definito ‘falsario’ – secondo la ricostruzione de ‘La Sicilia’ – Tommaso Calderone, capogruppo di FI all’Ars, per aver fatto partire, venerdì sera, una nota a sostegno di Miccichè, condita dai dubbi sulla candidatura di Schifani. Ma a quel punto della storia Armao era già fuori. Aspettava, alla fermata dei bus, l’ultimo segnale per candidarsi alla presidenza. Per sposare la causa di Renzi e Calenda, due che provengono dall’odiatissimo Pd. Per intraprendere una nuova carriera fra Roma e Palermo. O credete che sacrificarsi alle Regionali, dove è probabile che chiuda quarto, non meriti una ricompensa in qualche facile collegio?

Micciché: “Schifani non si faccia infinocchiare da Armao”

In un’intervista a Italpress, dopo avere mosso critiche a Ignazio La Russa per “la violenza verbale alla quale non eravamo abituati”, Gianfranco Miccichè mette in guardia Renato Schifani: “Non si faccia infinocchiare come hanno infinocchiato noi le ultime volte, me incluso, da uno come Armao, che con i sui ‘indignati’ millantava una forza politica importante ma poi quando li cercava, questi ‘indignati’, non ci riusciva”. E ancora: “Armao che in cambio di quella falsità si prese la vice presidenza della Regione – conclude – ora sta facendo esattamente la stessa operazione. Invito l’amico Schifani a non farsi infinocchiare. Se ci caschiamo anche stavolta… Armao non ha un voto, ma con giochi ‘imbroglioneschi’ riesce a trovare sempre posizione. Spero che Renato lo capisca”. Schifani raccoglie il suggerimento: “Siamo del tutto insensibili a eventuali profferte, e non facciamo nessuna campagna acquisti a chi si propone dal terzo polo”. Armao invece si smarca: “Ho accettato la candidatura ieri, con grande determinazione. Miccichè è fuori pista, come accade sovente”.

Calderone: “Armao? Un trasformista”

“Che trasformista Gaetano Armao ad accettare la proposta del Terzo Polo che lo ha designato candidato alla Presidenza della Regione. Armao però, prima di accettare la candidatura, non ha avuto la sensibilità di dimettersi da Vicepresidente e Assessore regionale. Gli ricordo infatti che tali cariche, le ha ricevute essendo stato designato da Forza Italia. Negli ultimi cinque anni, con totale ingratitudine ha ricoperto il doppio incarico grazie alla generosità del Presidente Berlusconi, senza mai essersi misurato con il giudizio insindacabile degli elettori. Di fatto non è mai stato eletto, neanche come consigliere di quartiere. Un vero camaleonte della politica, che pretende di rappresentare i siciliani saltando da una poltrona all’altra o da uno steccato politico all’altro, con una spiazzante disinvoltura”. Lo afferma il capogruppo di Forza Italia all’Ars, on. Tommaso Calderone.

Davide Faraone e la ragion di Stato
(di Giuseppe Sottile)

Questa è la cronaca di un dolore. Conosco Davide Faraone da molti anni. Conosco la sua onestà, la sua affidabilità, la sua intelligenza, le sue battaglie per i diritti civili, la sua straripante voglia di aiutare gli umili e i disabili. Tutto potevo immaginare tranne che il “compagno Davide”, dirigente tra i più illuminati della debole sinistra siciliana, finisse per caricarsi sulle spalle un bullo della destra più arrogante e spregiudicata, un avventuriero, un funambolo che passa la vita a saltellare da un partito all’altro, che ha servito i peggiori padroni, che da vent’anni rastrella affari e consulenze. “Precipitiamo verso il fondo senza mai toccare il fondo”, scriveva Leonardo Sciascia. Carlo Calenda e Matteo Renzi il fondo l’hanno toccato. Per un minuto ho sperato che Faraone non li seguisse. Ma il cinismo della ragion di stato ha travolto pure lui. Peccato.