Il Movimento 5 Stelle non è più lo stesso. Né in Sicilia né altrove. Resta francamente poco di come l’abbiamo conosciuto. Gli ultimi tre anni – vissuti sulle montagne russe, ma come forza di governo – hanno rivoluzionato per larga parte le abitudini e la dottrina pentastellata. Ne è prova la svolta garantista di Luigi Di Maio, l’ex capo politico, a proposito della gogna giudiziaria nei confronti degli avversari: uno su tutti, l’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti. Sepolto dal fango, cinque anni fa, quando era accusato di abuso d’ufficio e turbativa d’asta; e oggetto, una settimana fa, di scuse pubbliche (fra l’altro su un giornale ‘nemico’ come Il Foglio). Dalle quali emerge il nuovo spirito del M5s. Avrà inciso, in parte, anche la vicenda di Ciro Grillo, e la sfuriata dell’Elevato sui social. Ma il meccanismo è più complesso di così. E parte inevitabilmente da lontano: dalla decisione di affrancarsi dalla solitudine esistenziale – per scelta e per coscienza – e diventare collante e perno di una maggioranza che, negli ultimi tre governi, ha fatto del Movimento il baricentro degli schemi della politica. Non dell’antipolitica: della politica. La differenza è sostanziale.

Il Movimento si è evoluto – se bene o male, lo diranno gli elettori al prossimo giro – lasciando per strada le antiche credenze e i suoi avamposti. Alcuni, come Alessandro Di Battista o Davide Casaleggio – quest’ultimo si è disiscritto, dopo aver consegnato i dati degli iscritti a Rousseau, come imposto dal Garante della Privacy – si sono arresi di fronte a questa solida sterzata. Altri, invece, hanno imboccato il percorso contromano, cercando di adeguarsi alle nuove regole e alle nuove convenzioni. Di Maio, con grande spirito camaleontico, ha fatto un governo con la Lega, uno col Pd, un altro ancora con Draghi, il capo dei banchieri. Ha mostrato spirito di adattamento, o semplice attaccamento alla poltrona. E’ ancora lui, però, a dettare legge. Ad accelerare o frenare bruscamente. A tessere i rapporti con gli alleati, a metterci la faccia nonostante la giovane età. “Così è, se vi pare”. Anche se, in fondo, il dualismo con Giuseppe Conte, sempre in attesa di diventare il capo politico, non è più un mistero.

I rapporti si erano deteriorati col governo giallorosso e oggi, al netto delle operazioni di facciata, restano tesi. Conte non ha preso bene il contropiede di Di Maio sulle scuse a Uggetti – nessuno era stato informato – però, sulla vetrina dei social, ha preferito “accostarsi”, dimostrando anch’egli una qual certa tendenza a sviluppare doti da leader: “Il Movimento 5 Stelle sta completando un processo di profonda maturazione collettiva – ha detto l’ex presidente del Consiglio -. Riconoscere come errori alcuni toni e alcuni metodi usati in passato – come ha fatto Luigi Di Maio – vuol dire segnalare, anche all’esterno, alcuni fondamentali passaggi di questo importante processo di maturazione collettiva, che avrà al suo centro, sempre e comunque, il rispetto della persona”. Con qualche avvertenza da libretto d’istruzioni: “È fondamentale ricordare che il rispetto della persona e della sua dignità va coniugato con i principi della trasparenza, della lealtà, del rigore etico, da sempre fondamentali per il M5s. Il principio di legalità e il valore dell’etica pubblica per la nostra comunità politica sono valori inossidabili”.

Fin qui siamo alla teoria, se non alla retorica. Il clima all’interno del M5s non è facile. Vive di questa contrapposizione forte, tra uno che vanta un forte appoggio popolare, e l’altro, che anche per la sua posizione alla Farnesina, è considerato il front man dei Cinque Stelle nei palazzi che contano. Con un discreto controllo dei gruppi parlamentari. “Due galli in un pollaio”, li ha definiti Mentana nel corso di un’ospitata da Giletti. “Giuseppe e Luigi si marcano a uomo, ma stanno attenti a non pestarsi i piedi – ha spiegato al Corriere della Sera un esponente di governo, che ha contatti con entrambi -. Se le cose per il M5S vanno bene staranno insieme, se vanno male saranno alternativi”. Entrambi con la stessa pretesa di aprire il Movimento verso l’esterno, favorendo alleanze con Pd e Leu (come avvenuto a Napoli) ogni qual volta se ne presenti l’occasione.

La Sicilia, in questo, ha già rappresentato un laboratorio: il modello Termini Imerese, che l’anno scorso fece eleggere Maria Terranova sindaco della città, è quello che il leader pentastellato nell’Isola, Giancarlo Cancelleri, considera d’esportazione. In questi giorni i contatti con Barbagallo, segretario regionale del Pd, proseguono. Il tour dell’Isola in auto, per toccare i comuni interessati dalle prossime Amministrative, è un segno di vicinanza, di intese già siglate (ci sono partite importanti, da Vittoria a Caltagirone ad Alcamo). Un passo che qualcuno, all’interno del Movimento, ha interpretato come più lungo della gamba. E non ha ancora visto niente…

Nell’Isola, infatti, si è aperto un nuovo dialogo, che potrebbe proiettare i grillini ben oltre Conte e ben oltre Di Maio, che pure rimangono – più il primo del secondo – un costante riferimento. Cancelleri, dopo aver discettato sull’evoluzione e sul processo di maturazione del M5s, ha inaugurato un altro snodo autostradale: “Certamente ci vorrà un allargamento a quell’area moderata che può rappresentare in Sicilia l’ago della bilancia – ha dichiarato a Live Sicilia -. Credo che anche Barbagallo sia della mia stessa idea. Bisogna capire da chi saranno rappresentati i moderati. Dobbiamo capire come allargare questo campo del buon governo”.

E’ un discorso che fa il paio con l’apertura dei dem nei confronti di Forza Italia, e con gli inviti di Micciché a valutare il “modello Draghi” e un governo di pacificazione anche alla Regione. Ma nessuno, per il momento, osa nominare i berluscones. Segno di una ritrosia tuttora esistente, che va smussata. Ci vorrebbe un Di Maio siciliano per far saltare il banco: magari, affermando che l’ira per il taglio al ribasso dei vitalizi, approvato dall’Ars, è acqua passata; o che il presidente della commissione Bilancio, Riccardo Savona, può rimanere al suo posto nonostante l’inchiesta sulla Formazione; e che lo stesso può fare Stefano Pellegrino, rinviato a giudizio per corruzione elettorale, in commissione Affari istituzionali. Sarebbe una svolta garantista anche questa; la creazione di un ponte con gli azzurri. A proposito di Ponte: è già qualcosa non aver detto no, pregiudizievolmente, a quello sullo Stretto. Anche su questo filone, rimarcando il percorso di Di Maio sulla giustizia, Cancelleri ha offerto una prospettiva nuova, disarcionando l’ideologia da una battaglia “per il popolo siciliano”. E, quindi, da una battaglia che appartiene a tutti.

Il Movimento sta cambiando pelle anche nell’Isola, sebbene i segnali giungano in maniera più rarefatta. Dopo la crisi provocata un anno fa dalla nascita di Attiva Sicilia, una costola del M5s che oggi ha sottoscritto un ‘patto di fine legislatura’ con Musumeci, i grillini remano tutti dalla stessa parte. Hanno criticato la ministra Lamorgese per la gestione inadeguata dei centri d’accoglienza, chiedendo a Conte di rimuoverla; hanno contestato in maniera aperta la decisione di sostituire l’avvocato del popolo con Draghi, anche per la scarsa considerazione verso il M5s siciliano al momento della composizione del governo. Avevano persino suggerito ai colleghi romani di non votare la fiducia al nuovo esecutivo. Ora, lentamente, stanno tornando a una politica più “ragionata”: sempre in funzione anti-qualcuno (una volta Musumeci, un’altra i sovranisti), ma innescando un dibattito utile “a finalizzare il prezioso lavoro fatto per dare nuova linfa al Movimento. Non dimentichiamo che il vero tsunami è partito dalla Sicilia, ormai conclamato laboratorio politico”. Parole e musica pronunciate qualche giorno fa, dopo l’incontro su Zoom con Giuseppe Conte. Non avranno più il livello di gradimento delle ultime Politiche, quando si aggiudicarono tutti i 28 collegi uninominali e sfiorarono il 50%, ma restano (come dimostra il dato delle ultime Europee) il partito di maggioranza relativa.

“A Conte – ha detto il capogruppo Di Caro – abbiamo posto temi, idee e questioni politiche, ma soprattutto gli abbiamo ribadito che ci siamo, pronti per ripartire con il nuovo Movimento proprio da qui. L’agenda politica va scritta o riscritta con i siciliani, visto che chi governa ora, ai siciliani, ha dimostrato di pensare poco o nulla”. Tra i temi “che vanno immediatamente affrontati per ridare slancio alla nostra regione” ci sono “lavoro, contrasto allo spopolamento, salute, turismo, ambiente, infrastrutture, lotta alla criminalità”. Ma anche un modo nuovo di governare, che Luigi Sunseri, per molti il candidato in pectore a palazzo d’Orleans, sottolinea: “Con Conte sono stato chiarissimo. Occorre individuare i soggetti da coinvolgere e, insieme, costruire un percorso virtuoso che abbia al centro la Sicilia. E che sia permeato da un unico parametro di riferimento: la meritocrazia. Niente fughe in avanti, niente personalismi. Dobbiamo essere in grado di mettere insieme i migliori. E provarci”. Un’apertura a destra, a sinistra, al centro. Purché si ricominci da qualcosa: la stagione delle urla e dell’indignazione sembra definitivamente alle spalle.