Non c’è uno degli otto siciliani eletti al Senato col centrodestra che l’altro ieri, al momento della votazione in aula del Ddl sull’Autonomia differenziata, abbia alzato il ditino per dire ‘no, non sono d’accordo’. Il disegno di legge pensato dal leghista Calderoli, diventato moneta di scambio con cui la Meloni intende assicurarsi la benevolenza di Salvini sulla riforma del premierato, è stato approvato in prima lettura a Palazzo Madama con 110 voti favorevoli. Fra i senatori eletti in Sicilia, tutti arcinoti, spiccano pure l’ex ministro Musumeci (impegnato ieri nella promozione del test IT-Alert della Protezione Civile) e l’ex sindaco di Catania Salvo Pogliese, che sui social è rimasto fermo al cordoglio per la scomparsa di Gigi Riva. Nel 2019, in tv, aveva detto che l’autonomia regionale “rischia di spaccare il Paese”, ma dopo l’approvazione della riforma nulla, il silenzio.

E’ questo il prezzo pagato dalla Sicilia all’insipienza dei suoi rappresentanti. Una riforma (per ora) fumosa che tuttavia ha già indicato la strada: le regioni ricche e che lo vorranno, potranno chiedere allo Stato la competenza diretta su 23 differenti materie (già indicate dall’articolo 116 della Costituzione) e vedersi assegnate le risorse per gestirle (sulla base della spesa storica). Gli altri rimarranno indietro, o comunque dovranno sperare – nelle more che il processo entri a regime – che si trovino le risorse economiche per garantire i Lep a tutti. Lep sta per livelli essenziali di prestazione, ma ciò non toglie che la forbice già esistente potrà soltanto allargarsi. A questo acronimo si appigliano i pochi commentatori siciliani. Fra cui Daniela Ternullo, entrata al Senato dopo la rinuncia di Micciché. “Forza Italia – dice – si è battuta affinché a tutte le regioni a statuto ordinario fossero riconosciuti i livelli essenziali delle prestazioni. Così come accade d’altronde in Sicilia, anche le altre regioni che chiederanno maggiore autonomia di scelta, potranno contare sugli standard minimi di servizio che lo Stato garantisce a tutti i cittadini”.

Insomma, la Sicilia – che gode di uno statuto speciale – è già a posto così. Anche se Salvo Sallemi, eletto con FdI, precisa che al Sud “c’è tantissimo da fare e si sta lavorando proprio su questo”. Nel complesso, però, “il disegno è migliorabile ma va nella direzione di una autonomia che valorizzi le regioni senza penalizzare nessun italiano nei servizi essenziali”. Nessun commento da parte del patriota Raoul Russo e del leghista Nino Germanà, impegnato nella conquista della segreteria regionale del Carroccio. Mentre la patriota Ella Bucalo si dedica a regolare l’accesso nelle facoltà di Medicina. Ci sarebbe persino Stefania Craxi, eletta nel collegio di Gela con FI: ma cosa vogliamo chiedere alla massima rappresentante del partito dei ‘paracadutati’? Di difendere la “nostra” regione, per caso?

La Sicilia, che qualche settimana fa s’è vista scippare per un vezzo di Salvini (e Fitto) oltre un miliardo di fondi europei per destinarli alla costruzione del Ponte sullo Stretto, oggi deve ingoiare un altro boccone amaro. Nel silenzio di Schifani e dell’intera giunta di governo. Ed è un attimo che la questione si sposta da Roma a Palermo. Per Cateno De Luca “sembra il remake del film ‘Cetto La Qualunque’ con lo spot più soldi per tutti. Peccato però che questi fondi per finanziare i cosiddetti Lep, non ci sono e così si conclamerà per legge la disparità sostanziale tra Nord e Sud che farà saltare il sistema Italia”. Poi col solito linguaggio colorito, parla di una “porcata elettorale, un bluff che causerà solamente danni ai cittadini italiani e che condannerà il Sud ad una lenta agonia sociale economica ed infrastrutturale”,

Il segretario regionale del Pd, Anthony Barbagallo, giudica “vergognoso il silenzio supino di Schifani e di tutti quei parlamentari siciliani e del sud che a Roma permettono questo strappo senza proferire parola”. Il suo collega di partito, Nello Dipasquale, evidenzia “un meccanismo a dir poco “perfetto” che soddisfa unicamente i desiderata della Lega, e davvero sorprende come nessuno dei parlamentari siciliani della maggioranza di governo abbia osato alzare un dito per difendere i cittadini del Meridione né tanto meno lo ha fatto il presidente della Regione Siciliana. La verità – argomenta Dipasquale – è che i parlamentari nazionali di destra che sono stati eletti al Sud sono “vincitori della lotteria” che qualcuno, dalle segreterie nazionali dei partiti, ha inserito in listini bloccati. Questo è il prezzo che è stato pagato per il loro totale e assordante silenzio… Nel caso di Schifani, poi, già la presidenza della Sicilia sarà bastata per tenerselo buono”.

Non più tardi di qualche giorno fa, dopo la mancata dichiarazione dello stato d’emergenza sugli incendi, Schifani aveva detto di non riconoscersi in “questo” Stato; e ancora prima, di fronte allo scippo sul Ponte, aveva agitato la teoria del “conflitto istituzionale”, prima di retrocedere di schianto affermando che con Salvini si era trattato di un mero “errore di comunicazione”. Il presidente forzista, che giudica il grado di separazione dal resto d’Italia a corrente alternata, sull’autonomia differenziata non si esprime. O meglio: si era espresso meno di un anno fa, era marzo, quando in Conferenza Stato-Regioni si pronunciò positivamente sull’Autonomia differenziata, votando a favore della riforma. Poco per volta, assediato da opposizioni e sindacati, ha dovuto correggere il tiro. Senza mai raddrizzarlo. Ne è prova l’abulia di queste ore rispetto a un tema di caratura nazionale che davvero – senza correzioni – rischia di approfondire ulteriormente il gap fra la Sicilia e il resto del Paese.

Le ultime dichiarazioni di Schifani sull’autonomia di Calderoli sono di qualche giorno fa, durante un dibattito sulla sanità all’Ars: “È evidente che quel voto passerà dal principio inderogabile, quello di garantire che i servizi sociali essenziali, siano omogenei in tutto il paese. Allora accetteremo l’autonomia differenziata”. Il presidente della Regione siciliana ha poi precisato che “verificheremo se queste condizioni – cioè la garanzia dei livelli essenziali di prestazione – saranno state rispettate ma sono certo che l’impegno del governo, che ci sta tanto sostenendo in tante iniziative, sarà di fare in modo che questo principio di parità e di equità sociale venga garantito con l’approvazione della grande riforma”.

Ci sarebbe un altro capitolo da aprire: quali sono le iniziative in cui lo Stato sta sostenendo la Sicilia? Forse, l’illusione di regalarle il Ponte sullo Stretto? Magari la promessa (di Calderoli, guarda caso) di non impugnare il ddl sulla reintroduzione delle province, nonostante la mancata abrogazione della Legge Delrio? O il riconoscimento di una minor compartecipazione alla spesa sanitaria, in cambio di una rinuncia preventiva e definitiva alla retrocessione delle accise (che dal 2007 sono costate alla Sicilia 8 miliardi)? Quali sono i reali vantaggi ottenuti da Roma in questo breve arco di legislatura, a parte lo sblocco dei concorsi dopo vent’anni di stallo (anche in questo caso di fronte a un impegno più corposo per garantire il rientro dal disavanzo storico) o al conferimento di poteri speciali a Schifani per sbloccare la pratica dei termovalorizzatori? Anche a voler trovare le “tante iniziative” a supporto dell’Isola, si fatica parecchio. Così come a individuare chi ha fatto le barricate di fronte a una legge da approfondire e, probabilmente, stoppare. Niente. Il primo round è andato, ci rivediamo alla Camera.