Prima il giudizio di parifica che ha “condannato” la Regione al commissariamento da parte dello Stato pur di ottenere la spalmatura del maxi disavanzo da due miliardi in dieci anni; ora la nuova stroncatura a proposito del documento di economia e finanza, redatto a ottobre 2019. Il tutto quando sta per cominciare all’Ars il percorso della Legge di Stabilità e della Legge di Bilancio, che saranno trasmesse a palazzo dei Normanni nelle prossime ore (con due settimane di ritardo sulla tabella di marcia). La Corte dei Conti ha aperto gli occhi e detto basta al bullismo amministrativo. Ieri, durante l’audizione in commissione Bilancio, all’Ars, se n’è avuta la riprova. I giudici contabili non lasciano correre più nulla. A proposito del Defr 2020-22, hanno evidenziato come risulti “ben lontano dal modello tracciato dal legislatore mancando anche quest’anno di elementi sostanziali per poter espletare pienamente le proprie funzioni nel processo di programmazione di bilancio”.

Il Defr è il principale strumento di programmazione economico-finanziaria dell’ente, che contiene le linee programmatiche dell’azione del governo. All’interno del quale, però, “non appare adeguatamente sviluppata la sezione dedicata all’analisi della situazione finanziaria della Regione, che manca di quattro elementi essenziali prescritti dai principi contabili”. Carenze che si sommano ad altre carenze, benché la stessa Corte faccia notare come all’interno del Defr approvato lo scorso ottobre, cioè due mesi prima del giudizio di parifica sul rendiconto 2018, “il paragrafo dedicato alla copertura del disavanzo risulta comprensibilmente datato rispetto ai recenti sviluppi”.

Passi per quel capitolo. Ma ce ne sono altri che catturano l’attenzione della magistratura contabile. E spesso fanno riferimento alla razionalizzazione della spesa. I giudici, ad esempio, fanno notare che i costi del personale, non per forza interno all’amministrazione, restano eccessivi. Nel perimetro della spesa pubblica, infatti, sono contemplati i quasi 7 mila dipendenti delle partecipate e i 13 mila di enti locali e Resais. Ma anche gli stagionali, impiegati “dalle strutture periferiche del Comando Corpo Forestale della Regione e dell’ex Azienda regionale Foreste Demaniali”, gravano sull’esercizio 2018 rispettivamente per 61,5 e 163,4 milioni di euro. Una cifra enorme.

Un altro tema su cui i giudici insistono è quello relativo al patrimonio immobiliare. Ma in questo caso, va dato atto alla Corte dei Conti e a chi ha sollevato la questione sin dal primo momento, che qualcosa sta cambiando. Se da un lato bisogna monitorare la cessione del 35% del Fiprs al Fondo pensioni, messa in atto dal governo applicando una vecchia legge di Crocetta allo scopo di fare cassa (solo l’acconto vale 22,75 milioni), dall’altro il governo avrebbe imboccato la via giusta: sia in relazione alla disdetta di affitti considerati inutili e troppo esosi; che alla realizzazione di un nuovo censimento del patrimonio immobiliare. L’Ente non conosce tuttora il valore dei propri edifici, e probabilmente nemmeno la loro dislocazione. La nuova banca dati – sollecitata più volte dai giudici – sarà realizzata grazie a un’intesa raggiunta dal dipartimento regionale della Finanze e del Credito con l’Agenzia del Demanio, anche se rimangono ignoti i termini dell’accordo.

Nell’ultimo anno più volte Buttanissima ha sollevato lo scandalo del censimento da 110 milioni di euro che la Regione, nel lontano 2007, aveva affidato a Sicilia Patrimonio Immobiliare nell’ambito di un’operazione più vasta che prevedeva la cessione di alcuni edifici a un fondo immobiliare regionale (Fiprs). Scavando a fondo – e tralasciando le responsabilità politiche e amministrative di un tale scempio – è emerso dopo dodici anni che i dati contenuti nel server della Spi, faticosamente ripristinati, risultano inservibili. E alla luce di questo “bug” è necessario aggiornarli.

La Corte dei Conti, che aveva “soprasseduto” sul vecchio scandalo (essendo subentrati i termini della prescrizione), stavolta gioca d’anticipo, invocando un cambio di passo e mettendo a nudo le responsabilità del governo e del suo assessore all’Economia, Gaetano Armao. Fu il primo a bloccare i pagamenti nel 2010, da assessore del governo Lombardo, e generare un contenzioso nei confronti della Spi (partecipata da Ezio Bigotti, un imprenditore di Pinerolo, di cui l’attuale vice-governatore era consulente); e l’ultimo a tentare soluzioni fantasiose per aggirare l’ostacolo di una password smarrita che consentisse di accedere al vecchio database, ormai impolverato e inutilizzabile.

L’intervento dei giudici non ripara alle malefatte del passato, tanto meno cancella uno scandalo immondo; ma si pone quanto meno in ottica costruttiva. Restituisce il senso di una battaglia. Della serie: “qui si fa ciò che diciamo noi, basta nefandezze”. Lo aveva affermato la Corte dei Conti col giudizio di parifica del 13 dicembre; lo aveva ribadito il Consiglio dei Ministri, all’antivigilia di Natale, con la norma “Salva Sicilia”, strettamente legata al rispetto dei patti che prevedeva entro 90 giorni un pacchetto di riforme in cambio della spalmatura del disavanzo. La Regione, che per anni non è riuscita a fare i compiti, si riduce a mera esecutrice delle decisioni altrui.

Per quanto possa contare – e conta, perché ridimensiona l’orizzonte e le prospettive – la Corte dei Conti sostiene pure che il quadro macroeconomico della Sicilia tracciato dal governo Musumeci nella nota di aggiornamento del Defr non appare “realistico” almeno per il biennio 2020-2021 alla luce “delle recenti stime della Commissione europea sulle previsioni di crescita dell’economia italiana e delle perturbazioni allo scenario globale legato all’andamento dell’economia cinese”.

Nella nota di aggiornamento il governo stima una crescita del Pil regionale programmatico in +0,6% per il 2020, +0,8% per il 2021 e +0,9% per il 2022. “Si tratta di stime – si legge nella relazione dei giudici – che la Sezione reputa ottimistiche alla luce delle serie storiche disponibili, delle più recenti previsioni sull’economia italiana, delle politiche pubbliche prospettate e dello scenario internazionale”. E’ vero che l’economia siciliana, dal 2008, ha sofferto la recessione più delle altre regioni. E che a partire dal 2015, quando il ciclo economico si è invertito, ha recuperato meno della concorrenza. Proprio per questo, e alla luce del quadro mondiale attuale (l’effetto Coronavirus pesa), non può concedersi voli pindarici. Musumeci ai sogni ha rinunciato da tempo. Solo che nel Defr ha scritto il contrario.