All’ultima assemblea dei Soci della Banca Agricola Popolare di Ragusa, il più grande istituto bancario a carattere regionale, si è presentato un anziano signore, che con la voce rotta dall’emozione e i nervi logorati da due anni di vana attesa, ha preso la parola e spiazzato tutti: non ha potuto pagare i funerali del figlio per via del “sequestro” dei suoi risparmi nel pacchetto azioni della Bapr. Ma cosa succede al punto di riferimento economico e finanziario del territorio ibleo? La spiegazione non ha bisogno di eloqui o tecnicismi: dal 2016 i piccoli azionisti della banca (sono 3.500 a fronte di quasi 20 mila azionisti complessivi) hanno subito il blocco delle liquidità delle azioni sottoscritte negli anni a fronte delle decisioni del Cda. Che, per effetto di un paio di normative europee (del 2013 e 2014) non avrebbe – il condizionale è d’obbligo – più potuto ricomprare le suddette azioni, privando i risparmiatori di una liquidità che fino al 2016 era stata ampiamente garantita.

La fiducia dei risparmiatori è uscita a pezzi dagli scandali degli ultimi anni, che hanno coinvolto un sacco di realtà – da Monte dei Paschi in giù, passando per Etruria e Carige – e convinto il  governo ad aprire un fondo risarcimento (previsto dell’ultima finanziaria) per lenire le ferite e ripianare le perdite dei clienti di alcuni istituti (non di tutti), come Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, finite in default. Il risultato di questa sfiducia è il boom dei depositi bancari. Gli italiani sono sempre più affezionati alla liquidità e per niente disposti a correre rischi. Nemmeno laddove, come nel caso delle banche popolari e di Bapr in modo specifico, l’istituto dà ampie garanzie.

Popolare de che? E’ la domanda che da qualche mese a questa parte continua a ronzare nella mente di tutti quelli che in Bapr avevano creduto. Come testimonia una nota di questi giorni, sottoscritta dal comitato dei piccoli azionisti, i motivi per fidarsi dell’istituto c’erano tutti, almeno in passato: “Il modello di banca popolare e la missione da essa perseguita è stato il motivo per cui molti piccoli risparmiatori, della provincia di Ragusa e in seguito dell’intero territorio regionale, rassicurati dalla solidità della banca hanno investito i loro risparmi – frutto del lavoro e del sacrificio di ognuno – nei titoli azionari emessi dalla Banca. Titoli proposti come sicuri e portatori di un guadagno certo, in quanto non soggetti ad oscillazioni di Borsa, garantiti da una crescita di valore costante – grazie alla periodica rivalutazione operata dalla Banca contestualmente alla sua crescita – e di facile liquidazione mediante il riacquisto da parte della Banca stessa”.

Ma poi è successo qualcosa – ci avrebbe mezzo lo zampino l’Europa cattivona, stando alla banca – e che “costringe” l’istituto a elevare una cortina di ferro nei confronti dei soci e dei clienti. Il riacquisto di quelle azioni, sui cui risparmiatori puntavano tanto, parrebbe regolato da principi prudenziali contenuti nel regolamento n.575 del 2013 e in quello delegato dell’anno successivo (241/2014), una normativa comunitaria che limiterebbe le banche, in via prudenziale appunto, a riacquistare le azioni precedentemente emesse. Allo scopo, pare, di non intaccare il proprio patrimonio. La Banca, “senza avvertire gli azionisti”, ha limitato drasticamente il riacquisto di azioni, “consentendolo per quantitativi sempre minori (nell’ordine di sole 30 o 20 per volta), fino a bloccarlo, arbitrariamente, nel settembre 2017”. Con una interpretazione dei regolamenti che, stando ai risparmiatori, è “quasi sospetta” e non solo prudente.

In questa tensione costante si è inserito l’intervento di Innocenzo Leontini, europarlamentare subentrato da pochi mesi al sindaco di Catania Pogliese, eletto nella lista di Forza Italia, unico deputato ibleo in Europa. Che ha preso la questione di petto e interrogato la Commissione Europea per sapere fin dove si spingesse la normativa e dove, cominciassero invece le responsabilità dell’istituito: “Nella mia interrogazione – spiega Leontini, che è stato anche assessore regionale alla Sanità e all’Agricoltura – ho chiesto alla Commissione se avesse intenzione di proporre la modifica dell’attuale quadro normativo prudenziale al fine di consentire ai soggetti vigilati di riacquistare le azioni di propria emissione e quali misure potesse attivare la Ue per sostenere questi risparmiatori e garantire loro di riappropriarsi dei propri guadagni”. “Anche perché – sottolinea Leontini – questa situazione ha causato ingenti danni a tanti piccoli risparmiatori che hanno visto svanire le economie di una vita e il frutto del loro lavoro”.

Poco prima di Natale è arrivata la risposta della Commissione Europea, resa nota in questi giorni. E porta la firma eccellente di Vladis Dombrovskis, vice di Juncker. Bene, ecco la sorpresa: “Il regolamento sui requisiti patrimoniali (n. 575/2013) non vieta agli enti di riacquistare il loro capitale regolamentare (“fondi propri”), ad esempio le azioni cooperative. Esso – ha spiegato il vice presidente della Commissione – impone semplicemente agli enti di chiedere la preventiva autorizzazione all’autorità competente (Bankitalia) per riacquistare tali strumenti. Si tratta di una misura volta a garantire che gli enti non riducano i loro fondi propri in un modo non sostenibile, a danno dei loro creditori e potenzialmente a danno anche della stabilità finanziaria”. Quindi, non è vero che la banca non può riacquistare le proprie azioni, stando all’UE. Deve solo farlo con raziocinio. Senza strafare. E questo Leontini l’ha ribadito nel corso di un’assemblea partecipata, organizzata nella sua Ispica: “A uno come Dombovskis, che parla in nome dell’Europa, non si può non dare credito. Oggi apprendiamo che non c’è alcun obbligo normativo che impone a Bapr di modificare la sua filosofia originaria nella recompra di titoli e azioni. Auspico che l’istituto torni sui suoi passi e possa negoziare con i risparmiatori un rientro a pieno titolo alle condizioni precedenti. Se non dovesse farlo, rischia di venir meno un rapporto fiduciario consolidato nel tempo”.

I risparmiatori, che dall’Europa, per il tramite di Leontini, si son sentiti dire quello in cui – in un certo senso – speravano, adesso chiedono una mediazione con la banca, che in via ufficiale non si è ancora pronunciata. Solo sul Corriere della Sera, il nuovo direttore Saverio Conticella ha spiegato che “il Cda continua a valutare tutte le strade per ricondurre ad una condizione fisiologica gli scambi sulle proprie azioni, consapevole del fatto che le regole e le forze di mercato in questo percorso saranno preponderanti e non potranno in alcun modo essere manipolate”.

Stamattina si è tenuto un sit-in di protesta (pacifico, con indosso dei gilet gialli), di fronte alla sede centrale di viale Europa a Ragusa: “Finora siamo stati concilianti e abbiamo cercato nella stessa banca risposte e soluzioni. Ma abbiamo ricevuto in risposta solo un muro di gomma, che sta esasperando da tre anni i risparmiatori e determinando una perdita di fiducia e di immagine di quella che era la nostra banca popolare, lo specchio di un territorio e di un’intera economia”. “Capisco che la Banca non può assottigliare il proprio capitale al di sotto della percentuale imposta da Bankitalia, ma al di sopra di quella soglia può svolgere una propria azione, che deve essere al centro di una negoziazione con i risparmiatori” ha concluso Leontini nella sua analisi. In alternativa c’è il rischio di un pesante contenzioso. Per una volta che l’Europa non c’entra, non fino in fondo, sarebbe un peccato non ricercare una soluzione utile. Potremmo ribattezzarla Ragusa Way.