Il calcio riparte. Un’azienda da quasi 5 miliardi di fatturato non poteva rimanere ferma a lungo, rischiando di non vedere nemmeno l’ultima tranche dei diritti televisivi (su cui club e pay tv discutono animatamente da settimane). Lo spettacolo andrà in scena mutilato: senza pubblico, senza tifo, senza esultanze. Ma è uno sport di contatto e i rischi persistono: al primo caso di positività – che riguardi un giocatore o uno dello staff tecnico – tutta la squadra andrà in quarantena obbligatoria per un paio di settimane (senza poter giocare), mentre al “contagiato” toccherà l’isolamento domiciliare. C’è scritto questo sul protocollo di sicurezza della Figc, che il governo ha accolto con favore. Basta un solo “positivo” per mandare in tilt un calendario compresso, che partirà il prossimo 20 giugno. A quel punto scatterebbe il piano B, con l’ipotesi di disputare playoff e playout, o addirittura il piano C (la cristallizzazione della classifica).

Restano da giocare 124 partite per stabilire chi fra Juventus e Lazio solleverà il trofeo dello scudetto in mezzo al deserto e sorrisi finti. Ma anche chi parteciperà alle prossime coppe europee, o chi sarà retrocesso in Serie B. Il 20 partirà pure la serie cadetta, ma un prelibato antipasto dovrebbe arrivare il weekend del 13 e 14 giugno, con le semifinali di ritorno di Coppa Italia (Juve-Milan e Napoli-Inter), con la finale in programma all’Olimpico di Roma il 17. Non è ancora chiaro dove si giocherà, ma sembra tramontata del tutto l’ipotesi di spostare il torneo al Sud, nelle città meno colpite dal virus. Ognuno resterà a giocare a casa propria, in una bolla di vetro. Sono quattro le squadre lombarde al via: Milan e Inter, ma anche Atalanta e Brescia (senza il “dissidente” Balotelli).

Il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora ha aperto i canali diplomatici con le tv (Sky) per capire se è possibile trasmettere in chiaro – una sorta di “Diretta gol” con tutti i campi collegati – le partite che si giocano in contemporanea. In questo modo sarà più facile ridurre gli assembramenti nei bar o nei pub che beneficiano degli abbonamenti alle pay tv. Un esperimento rischioso ma necessario. Il pallone è una delle prime industrie del Paese, che danno lavoro non solo a Cristiano Ronaldo.