Avevano pensato di metterlo in prima fila, accanto al padrone di casa.

La festa era anche e principalmente per lui. Per Cancelleri che faceva il suo ingresso “nella famiglia dei valori”.

Poi capirono che sarebbe stata preferibile la seconda fila. L’evento andava celebrato, ma senza gli eccessi berlusconiani, ché non è più tempo.

Collocato alle spalle di Schifani, Cancelleri era in buona posizione per i riflettori e le riprese ma non proprio esposto come un trofeo.

Così poteva meglio riflettere sulle “valutazioni errate” del passato – sono le sue parole, come quelle sulla famiglia dei valori – e confermare il proponimento di non continuare a sbagliare. Era cambiato, anche se avvertiva che la via della redenzione qualche problema ancora glielo creava dentro.

Mentre ascoltava l’inno che fino a tempo prima gli provocava l’orticaria, le parole che lo avevano sconcertato, non poteva scacciare dalla mente le immagini della vita precedente, rischiando così di continuare a peccare almeno in pensieri, se non più in opere.

Non voleva rimuginarci. Eppure doveva sforzarsi per impedire che riaffiorassero i giudizi e le invettive su Schifani, su Berlusconi e su Dell’Utri. C’era evidentemente ancora da rafforzare la convinzione di stare in una nuova famiglia, quella dei valori. Immobile, con l’impaccio di non sapere dove tenere le mani, girava lo sguardo in modo accorto, rivolgendolo ai tanti per lo più sconosciuti con i quali, fino a qualche settimana prima, si sarebbe rifiutato di prendere lo stesso treno e si chiedeva cosa pensassero di lui.

Stava seduto ora tra gente attempata, desiderosa di tranquillità e con la cravatta regimental, una compagnia nuova, imprevista, totalmente diversa da quella rumorosa e casinara delle ragazze e dei ragazzi del suo vecchio partito.

Era stato il principale interprete del pensiero di Casaleggio e di Grillo in Sicilia, aveva urlato a pieni polmoni vaffa, aveva garantito di aprire i parlamenti, quello regionale e quello nazionale, come scatole di tonno, aveva guidato migliaia di giovani scamiciati, entusiasti e un po’ invasati con l’obiettivo di cambiare il mondo e si ritrovava ad ascoltare parole stanche di moderazione e di ordine.

Poi sul grande schermo è spuntato il faccione di Berlusconi in un filmato di repertorio, e il povero Cancelleri per un attimo ha avuto l’istinto di urlare “nano maledetto!”, come spesso aveva sentito urlare Grillo. Per fortuna capì subito che non valeva più. Ora gli toccava alzarsi a molla e applaudire con maggiore vigore rispetto agli altri, come deve fare un neofita.

Doveva dare un segnale dell’approdo definitivo e onorare colui che i “valori” nella famiglia ancora li detiene e li assegna. Poco alla volta, un battito delle mani dietro l’altro, l’ansia e la fatica diminuivano, le immagini, le parole d’ordine di un tempo sfumavano. E si rendeva conto che alla fine erano leggere, fragili, prive di costrutto, slogan buoni per entusiasmare tanti ragazzi, anche in buona fede, arrabbiati contro una politica vecchia e lontana e alla ricerca di un movimento per rivoltare il Paese come un calzino.

Da quel passato, che malgrado ogni tentativo gli tornava in mente, capiva di doversi definitivamente staccare.

Era stato sulla riva del mare con il telo pronto ad asciugare Grillo dopo l’epica, gloriosa traversata dello Stretto.

Aveva avuto il potere di nominare la sorella deputato.

Per anni era stato vice ministro, aveva tenuto con regolarità gli scontrini e versato il contributo con cui aveva concorso a realizzare la mitica “trazzera” sulla quale scorsero più fiumi d’inchiostro che mezzi di trasporto.

Ricordava di essersi intestato un risultato elettorale eclatante, di avere sbandierato la fine della povertà con il reddito di cittadinanza e di avere sfiorato per due volte la presidenza della Regione.

A quelli della nuova “famiglia dei valori” nella quale era approdato gliele aveva cantate in tutte le tonalità.

E alla fine? Neppure il consigliere comunale a Catania, – ingrati! – gli avevano consentito di fare.

Così, rimasto senza arte né parte, cosa si aspettavano da lui? Che si lasciasse impaniare da principi come coerenza, rispetto delle regole, di quelle che tante volte aveva proclamato con la speranza che riguardassero gli altri, dignità! Tutte cose che residuavano dentro di lui. Ma fossero prevalse non gli avrebbero consentito di trovare una soluzione alla condizione di chi rimaneva giusto senz’arte né parte. Come del resto tanti altri esponenti di quel movimento, che un improvviso tornado aveva sollevato quasi dal nulla e collocato ai vertici delle istituzioni. Ad alleviare ciò che restava di quei vecchi sentimenti, di quegli antichi principi, vi era la prospettiva di aver parte ai valori della nuova famiglia, che era stata scelta del resto proprio perché ricca di valori, dopo diversi altri tentativi di approdo.

Occorreva un po’ di tempo, naturalmente, per riuscire a trovare postura e linguaggio idonei, ma tutto sommato ci sarebbe riuscito. Era stato capace di recitare il vecchio copione e, come tutti coloro che hanno la fortuna di non essere appesantiti da cultura e da forti convincimenti, avrebbe potuto interpretare un diverso, nuovo ruolo.

Mentre i pensieri si aggrovigliavano nella mente del nostro, insieme a speranze e timori, Schifani, con serafica serenità, si godeva la convention che confermava e rinsaldava il suo ruolo nel partito e alla guida della Regione. E, con la tranquillità dei forti e dei vincenti, accoglieva Cancelleri. Un risultato di assoluto rilievo.

È vero, lo prendeva senza alcuna dote, ché anzi avrebbe dovuto pensare a dotarlo. Ma dall’ex grillino otteneva qualcosa di molto importante, otteneva la smentita, la cancellazione di anni di insulti, di accuse, di polemiche, di contrasti. Tutto eliminato, con effetto retroattivo. Si era trattato di “errori” confessati e perdonati. “Forza Italia è un partito aperto”, ha detto Schifani, “accolgo con piacere Giancarlo Cancelleri. È stato un avversario di Musumeci, ma l’ha fatto con stile”.

Certo, parlare di stile con riferimento al repertorio grillino è stata un’evidente forzatura che solo il pacato e misericordioso Schifani poteva consentirsi. Avere circoscritto il contrasto a Musumeci è stato un modo per far capire che lui Cancelleri lo accoglieva, ma non gli assegnava il ruolo di suo competitore.

Forza Italia è un partito aperto, pronto ad aprire le braccia a ciò che resta di quel movimento che in Sicilia sfiorò il 40% dei voti, e che sta dimostrando di aver saputo fare un grande rumore e un fumo passeggero. Come il gioco di fuoco di Santa Rosalia.