Tutto si può dire della classe politica siciliana, ma non che difetti di coraggio e d’iniziativa. In queste ultime settimane dell’anno, le emozioni si rincorrono numerose, appresso ai nomi dei candidati per Palermo e per la Regione. Gli ultimi, fra l’altro, sono di un certo spessore: Davide Faraone al Comune e Nello Musumeci, ancora lui, a palazzo d’Orleans. Peccato che entrambe siano state annunciate in solitaria e che nessuna di esse, per il momento, sia stata accolta con l’entusiasmo che si deve a un progetto di rilancio e di cambiamento (sostenuto da entrambi).

Ma andiamo con ordine e partiamo da Musumeci. L’aveva già fatto a inizio estate, durante l’evento dello Spasimo. L’ha rifatto tre giorni fa, alle Ciminiere di Catania: “Sciolgo l’incantesimo, sarò ricandidato”, ha urlato il governatore ai quattro venti, arrogandosi il diritto “fisiologico” di doverci riprovare per forza. Dieci giorni prima, al termine di un colloquio con Salvini al Senato, era sembrato diverso: “Credo che sarebbe un atto di presunzione dire ‘mi voglio candidare’ anche perché dipende dalla coalizione”, disse il presidente della Regione a ‘Oggi è un altro giorno’, su Rai 1. E’ la stessa persona che sabato scorso ha rivelato di essere al lavoro per la preparazione delle liste. Ma concentriamoci su un altro aspetto, ossia le reazioni suscitate: praticamente nulle. Fratelli d’Italia, che il giorno prima con Giorgia Meloni aveva glissato sull’argomento (“Non faccio fughe in avanti”), se n’è rimasta in silenzio, e ha lasciato il solo Manlio Messina a manifestare compiacenza, in prima fila, per l’autoproclamazione di Nello; mentre la Lega, a Catania, non s’è nemmeno presentata. Samonà era uno degli assessori assenti. Formalmente non iscritto al Pdp (il partito del presidente).

Gli altri forfait sono arrivati da Scilla e Zambuto, i fidi scudieri di Miccichè. Anche il commissario regionale di Forza Italia ha preso sotto gamba l’ultima intemerata. Affidandosi a qualche lancio d’agenzia: “Il candidato sarà scelto dalla coalizione. Potrebbe anche essere lo stesso Musumeci se non fosse che il suo modo di fare lo allontana sempre più dall’obiettivo”. E ancora: “Il fatto che lui dica che sono gli assessori a decidere le linee guida del governo, è un’altra di quelle frasi che rischiano di allontanarlo dalla ricandidatura: sono i partiti a deciderla”. E sebbene Musumeci dica di voler vincere per sé e per i partiti della coalizione, questi partiti non hanno alcuna intenzione di restare elementi d’arredo. Come negli ultimi quattro anni. I discorsi sulla partitocrazia e sull’occupazione delle istituzioni sono legittimi, oltre che condivisi (teoricamente) dai più. Ma da qui alla pratica ce ne passa. Convocare un paio di vertici di maggioranza nell’arco di un’intera legislatura, non depone a favore di una proroga del sodalizio. Men che mai quando alcuni assessorati – almeno nella visione di Micciché – remano contro. Ecco che lo scatto di Musumeci rischia di non essere risolutivo. E restando alle metafore ciclistiche, che al presidente piacciono tanto, servono altri tentativi per inserirsi nella fuga giusta.

L’investitura di Renzi a Faraone, a Palermo, è persino più problematica. Perché non s’è ancora capito chi – a parte l’ex premier – è pronto a sostenerla. Persino l’ala più estesa di Italia Viva in Sicilia s’è tirata fuori. E’ quella che fa capo a Edy Tamajo: “Non possiamo apprendere della sua candidatura dai giornali – ha detto a ‘Live Sicilia’ il deputato di Mondello -: un annuncio fatto senza coinvolgere i cittadini o chi sinora ha fatto parte di Italia Viva.  Ho sentito molte volte dire che i renziani hanno la loro roccaforte in Sicilia, ma l’80% di Italia Viva è rappresentato da noi di Sicilia Futura”. L’ex movimento creato da Totò Cardinale che, in principio, avrebbe voluto allargare il Pd al centro. E che poi se ne uscì in rotta di collisione coi dem alla vigilia delle Politiche del 2018. “Ho chiuso la segreteria di Palermo e formalmente l’associazione è stata sciolta perché è venuto a mancare lo scopo, il fine. E se vuole anche l’oggetto sociale”, disse l’ex Ministro a Buttanissima. Mesi addietro il patto con Renzi e Italia Viva – al quale Cardinale non ha mai prestato il proprio benestare, nemmeno disinteressato – per la condivisione del simbolo (anche) all’Ars.

Poi, settimane fa, la svolta azzurra: al termine della cena fiorentina fra il senatore e Gianfranco Micciché, si stabilì che fossero proprio loro – Tamajo e D’Agostino – l’anello di congiunzione con Forza Italia, in vista di collaborazioni future per le Amministrative di Palermo e per le Regionali. E’ bastato lo scatto – un altro – di Renzi a provocare un terremoto politico (lo stesso Micciché ha ritenuto doveroso smarcarsi) e la nuova, definitiva scissione: “Crediamo che se il presidente dei senatori di Italia Viva avesse voluto ascoltare il parere di Tamajo sulla sua candidatura l’avrebbe certamente incontrato – scrivono i tre coordinatori di IV Palermo, fra cui l’ex assessore Tony Customati -. Se non l’ha fatto, Mister caos dovrebbe darsi una risposta”. Tamajo intanto sbotta su Facebook: “Decine di candidati in corsa per la poltrona di Sindaco di Palermo, ogni partito o movimento autocandida il proprio aspirante candidato, e tutti i partiti “dell’arco costituzionale” mettono in scena assemblee invocando il tanto osannato cambiamento… Ma in realtà non riesco a comprendere di quale cambiamento stiamo parlando, visto che siamo tornati alla vecchia logica del manuale Cencelli, condotta che veniva utilizzata con il solo scopo di “alzare il prezzo” cercando di ottenere qualche casella in più nello scacchiere politico”.

In effetti per Palermo si contano già 7-8 candidati nel centrodestra. E uno al centro: Faraone. Tutti, in un modo nell’altro, sono già destituiti in partenza: l’Udc Lagalla ha basso appeal fra i sovranisti; Forza Italia considera ‘irricevibile’ il leghista Scoma; Aricò non può più fare il sindaco perché Diventerà Bellissima ha avuto la sua parte alla Regione ricandidando Musumeci. E mancano ancora le scelte del Cantiere Popolare e della Democrazia Cristiana di Cuffaro, fin qui silenti. Perché tanto ciaffico, poi? Per risollevare la città perduta ci vorranno anni e una discreta dose di fortuna. Ma la logica prevalente, come ammette Tamajo, è un’altra: alzare il prezzo più possibile, stabilendo solo in seguito i perimetri e (per quanto contino) i programmi.

Questa fase storica, d’altronde, conferma che la politica è l’arte del possibile. Gli occhi sono tutti puntati sul Quirinale, come se a febbraio – oltre a decidere il nuovo Capo dello Stato – si stabilissero fini e confini dei nuovi schieramenti politici. E una scelta fra Modello Draghi o andare avanti col bipolarismo tradizionale (dopo lo schiacciamento dei Cinque Stelle sul centrosinistra). Che tutto può succedere lo confermano le ultime uscite di Silvio Berlusconi nei confronti del Reddito di cittadinanza: prima era l’anticristo, ora un metodo per contrastare finalmente le situazioni di povertà. Va bene la nuova versione del padre nobile, ma nessuno si sarebbe aspettato fino a questo punto.

La Sicilia, da sempre, garantisce al Paese sperimentazioni di ogni tipo. E questa volta non farà eccezioni. L’asse Micciché-Renzi, che nelle ultime ore sembra essersi raffreddato, vorrebbe offrire un’opportunità alla politica di riappropriarsi dell’elettorato moderato, emarginando gli estremi e riportando i siciliani al voto. Anche se gli stati generali di Forza Italia, come emerso dalla manifestazione di Mazara del Vallo, ancora propendono per il vecchio ordinamento: il centrodestra a tre punte, con Salvini e Meloni. Consentendo, al massimo, un mini allargamento al centro. Ma in questo clima impazzito, dove le candidature durano un giorno e poi vengono fagocitate, nessuno si stupirebbe di leggere strane alchimie sulla scheda elettorale. Un tocco di sicilianità non guasta mai.

Micciché, richiamo all’unità: basti con questi candidati

“Basta farneticazioni. Ogni ora che passa, leggo uscite deliranti di vari ipotetici candidati a sindaco di Palermo. Si favoleggia di inesistenti contraccambi per la presidenza della Regione. Non si capisce quale sia il motivo di volere danneggiare a tutti i costi la coalizione di centrodestra con inutili fughe in avanti. Sarebbe opportuno fare tutti un passo indietro e tornare alla politica vera”. Lo dice il coordinatore regionale di Forza Italia, Gianfranco Miccichè