Se è una Regione “con le carte in regola” saranno i deputati eletti a dirlo. Oggi hanno messo piede all’Ars per la prima seduta della legislatura e per ratificare il predominio di Fratelli d’Italia nello scacchiere politico, eleggendo Gaetano Galvagno alla presidenza di Sala d’Ercole. Ma già nei prossimi giorni, successivi all’elezione del Consiglio di presidenza e al giuramento degli assessori, la luna di miele finirà. E lascerà spazio al lavoro sporco. Per capire, appunto, se la Sicilia ha le carte in regola.

Stando alla Corte dei Conti, no. I magistrati, analizzando il rendiconto 2020, hanno individuato spese irregolari per circa un miliardo di euro. Il motivo? Aver accantonato una cifra nettamente inferiore a quella “pretesa” dal piano di rientro dal disavanzo storico. Che l’ex assessore all’Economia, Gaetano Armao, decise di ignorare in funzione del nuovo accordo di finanza pubblica firmato, però, a gennaio ’21 dal Musumeci e dall’ex premier Conte (a condizioni più vantaggiose e una dilazione in dieci anni, anziché in tre). “In forza del principio del “tempus regit actum”, il ripiano decennale non avrebbe potuto trovare applicazione negli esercizi 2019 e 2020, essendosi effettivamente concretizzate solo nel 2021 le condizioni necessarie per fruire dell’agevolazione”, si legge nella relazione dei magistrati. Seicento pagine fitte fitte di accorgimenti, di fronte alle quali la Regione ha preparato – senza un assessore incaricato – un faldone di controdeduzioni.

Per capire chi avrà ragione bisognerà attendere il 3 dicembre, quando è fissato il giudizio di parifica di fronte alla Corte dei Conti. Ci sarà un prequel – la pre-parifica – tra una decina di giorni. Ma per andare in fondo a questa storia serviranno studio e pazienza. Anche da parte del nuovo assessore, che dovrà cambiare metodo e preservare l’aula, oltre che l’istituzione tutta, da rapporti fratricidi con la magistratura. Già emersi, per altro, in occasione dell’ultimo giudizio di parifica sul rendiconto 2019. Se l’assessore al ramo sarà Marco Falcone, la prima preoccupazione sarà quella di definire le variazioni di bilancio per l’esercizio in corso, ma soprattutto una legge che autorizzi l’esercizio provvisorio per (almeno) i primi due mesi del 2023. Non ci sarà abbastanza tempo, con un’Ars appena insediata, di scrivere una Legge di Bilancio e di Stabilità entro la fine dell’anno (prima di capire, fra l’altro, che buco emergerà dalla relazione dei giudici).

Sono in pochi, all’Assemblea, ad avere contezza e conoscenza dei documenti economici-finanziari. Tra questi c’è senz’altro Cateno De Luca, che ha sempre denunciato ‘bilanci farlocchi’ durante il quinquennio di Armao e Musumeci. Il ragioniere generale Ignazio Tozzo, a Repubblica, ha preannunciato un altro tema caldo che riguarda i conti, cioè il cofinanziamento della Regione nella spesa per la sanità pubblica, che al momento è fissato in una quota percentuale di 49,11 punti. L’obiettivo è scendere al 42,5 per cento: numeri che si traducono in 650 milioni di euro, su cui gli uffici devono sapere se possono contare o meno. “Quella – ha spiegato Tozzo – è certamente una partita determinante che libererebbe risorse significative in sede di bilancio”.

Musumeci, nel giorno del passaggio di consegne con Schifani, aveva insistito sul punto: “Lascio una regione con le carte in regola, con tante cose ancora da fare, tante cose avviate e tante cose che non abbiamo avuto neppure il tempo di avviare”. Ad esempio un processo di razionalizzazione delle società partecipate. I carrozzoni che contribuiscono al bilancio consolidato della Regione, ma che spesso rappresentano un “buco nero” da cui è impossibile trarre giovamento. Molti di essi gravano sui costi Palazzo d’Orleans senza dare nulla in cambio: non un servizio o una prospettiva. Come nel caso di Sicilia Digitale, che dovrebbe occuparsi del processo di informatizzazione dell’Ente e invece non riceve più una commessa e, se non fosse stato per il buon cuore dell’Ars, sarebbe affondata in mezzo ai debiti e ai contenziosi (con gli ex soci privati).

Altri carrozzoni, come l’Ast, sono finiti al centro di scandali clamorosi. L’azienda siciliana dei Trasporti, secondo la Procura di Palermo, è stata “pesantemente condizionata da logiche clientelari e da pressioni politiche”. L’operazione Gomme Lisce, che ha disarcionato una governance “distratta”, è l’emblema del fallimento della politica, come ha evidenziato una scrupolosa inchiesta della commissione Antimafia secondo cui i controlli delle autorità preposte – l’assessorato all’Economia, che detiene la delega sulle partecipate – si sono attivati “dopo che il quadro rilevato e denunciato nell’indagine della magistratura palermitana ha messo tutti di fronte ai fatti, cioè a procedure viziate che si erano consolidate nel corso degli anni. E che fanno temere – diceva il presidente Fava – un uso altrettanto spregiudicato dello strumento delle interinali anche per altre società partecipate dalla Regione siciliana”. Le società interinali, nel caso dell’Ast, si sostituivano all’organo politico (che non poteva assumere) per innescare un giro clientelare a beneficio della politica (l’ex direttore generale Fiduccia, in alcune intercettazioni, denunciava “l’ultimo pizzino che mi hanno dato in assessorato”). Ma chi aveva il dovere di vigilare, non è intervenuto nemmeno sul Consiglio d’Amministrazione (di nomina politica), per fare in modo che il direttore generale – nel caso specifico – venisse emarginato.

Più in generale, la Regione è dotata di 71 enti strumentali controllati o partecipati (tra cui i Consorzi di Bonifica o gli Iacp); di 24 organismi strumentali come l’Irfis (quella di Giacomo Gargano, l’attuale direttore, è la poltrona di sottogoverno più ambita); di 13 società partecipazione diretta (fra cui l’Ast e Sicilia Digitale); e di 55 organismi in liquidazione, che nessuno trova il tempo (o il coraggio?) di archiviare. Con evidente dispersione di denaro pubblico. L’Ems, l’ente minerario siciliano, era finito al centro di un potenziale scandalo, per l’ambizione di taluni – tramite intermediari senza scrupoli – di trasferire all’estero il tesoretto della liquidazione che, invece, alcuni parlamentari hanno ottenuto di far assegnare al Bilancio regionale (per 23 milioni circa). Mentre la Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana, un’istituzione lirica della nostra regione, è stata letteralmente dilaniata da una gestione incauta, seguita allo scioglimento del Cda e alla nomina di un commissario.

Ci sono temi che, se tocchi, fai fatica a non scottarti. Come l’Oasi di Troina, spogliata della sua natura privatistica e diventata il feudo di Diventerà Bellissima, tramite un giro d’incarichi e consulenze per accontentare i fedelissimi (fino allo strappo col Vaticano). Le nuove leve, se vorranno, potranno dedicarcisi notte e giorno. Con la nomina del nuovo assessore alla Sanità, Schifani potrà ristabilire gerarchie e obiettivi. E recidere – una volta per tutte? – i contatti con la gestione Razza. Come svelato dal quotidiano ‘La Sicilia’, ci sarebbe una “clausola di salvaguardia” per il delfino di Musumeci, che ieri ha comunicato il ritorno a tempo pieno alla professione di avvocato.

Ma se questo governo e questo parlamento vogliono davvero fare un passo avanti, non soltanto in ambito sanitario, dovranno tenere alla larga affaristi, faccendieri e lobby spregiudicate; e adottare un rigoroso sistema di controllo della spesa, perché i tanti soldi “offerti” dall’Europa (specie col Pnrr, ma anche con la programmazione del PO-FESR 21-27) non diventino il solito veicolo per accaparrarsi le simpatie degli amici, o degli amici degli amici. Gettare le basi di una rivoluzione trasparente è quello che serve. Per avere davvero le carte in regola.