Un giorno si scoprirà di chi è la colpa, chi commise il peccato primigenio. Nei giorni scorsi nel campionato dello scaricabarile hanno primeggiato Barbara D’Urso e il suo clone russo, il presentatore del people show un po’ Carràmba e un po’ Dove sei? del buon Enzo Tortora a Portobello. In mezzo – per l’ultimo caso – nell’attesa non troppo lunga (state tranquilli) e non necessariamente in rogatoria televisiva internazionale – c’erano stavolta la mamma che da quasi vent’anni vive d’angoscia e di lotta, il suo avvocato che da altrettanto tempo si divide tra le sudate carte e gli essudativi riflettori e tutto un contorno di giornalisti, conduttori, ex attrici-soubrette, opinionisti da anni imbullonati alle poltroncine negli studi tv o di fugace transumanza popolare, perfino quelle che un tempo furono mute vallette riesumate per l’uso (fidanzate, mogli, mamme, sorelle, insomma un ruolo comunque e sempre surrogato).

Il “caso Denise” (la bambina di Mazara scomparsa nel 2004) è stato l’ultimo in ordine di tempo e non sarà ovviamente l’ultimo in bocca a questo cane che si morde la coda da quarant’anni circa: il gesto compulsivo, frenetico dell’animale è il motore di quello show altrimenti detto circo mediatico che ha inglobato in sé anche quei rotocalchi un tempo detti popolari che in origine si occupavano di un po’ di tutto con una sorta di pudica impudicizia. No, non è comunque loro, la colpa, sono solo entrati – nelle forme del tempo, ovviamente – dentro l’ingranaggio stesso che è soprattutto fatto di televisione e poi, a rimorchio, di giornali e mondo web, ovvero i social odi et amo.

Sono numeri quelli che – come in ogni forma (o quasi) di attività umana – accendono i riflettori del circo. Sono i numeri del consenso indicati in teste, share, like, followers, sono curve che salgono e scendono, si impennano o si inabissano e che si tramutano in altri numeri, sonanti questi ultimi, quei dindini alla cui musica l’orchestrina attacca la quadriglia, il de profundis, o l’ammuìno, a seconda.

Si può dire che tutto cominciò dall’Auditel, da quello strano, nebuloso mostro del censimento televisivo, un affare che si spartirono tv pubblica e privata non tanto per capire cosa piacesse o meno alla gente (il gradimento fu assolutamente bandito dalla conta, quello che si chiamava «indice» venne brutalmente mozzato) ma quanto questo o quel programma, questo o quell’argomento fagocitassero inserzionisti pubblicitari? Si può dire che in quel primo momento di assoluto delirio (seconda metà anni ’80 su per giù) i giornali già con qualche crisi d’asma inseguirono anch’essi non tanto il trend televisivo quanto la televisione stessa, paginate su paginate, oltre la riserva indiana degli Spettacoli & Tv, concionamenti di Cultura, sleppe infinite di Società, interviste per Il Punto, analisi più o meno approfondite da Primo piano, e polemiche tra star e starlette, e guerre tra dei e semidei, e sbalorditivi ingaggi di capocomici e primedonne tv? Si può dire che quasi a ruota, un breve lasso di anni, si accodò la Rete e con essa poi ancora i social, la più grande (e per alcuni grave) forma di democrazia retorica, demagogica, propagandista spesso in nome di un ego abnorme?

Fermare il circo mediatico non è più possibile, non è pensabile e nemmeno auspicabile in nome di valori di libertà assoluti, acclarati, inscalfibili. Così come, trovandolo anche divertente, nessuno si metterebbe in testa di fermare il cane che cerca d’afferrarsi in maniera compulsiva quel prolungamento del suo apparato scheletrico che un giorno l’evoluzione negò all’homo sapiens. Ma il fatto che continui a morderselo può essere segnale di un disagio, di una patologia, di qualche forma lieve o seria di schizofrenia. Ecco, forse sarebbe il caso di chiedersi il perché di questo nostro girare intorno in maniera ossessiva a un fatto senza curiosità alcuna che non sia morbosità velocemente smerciabile in teste, in 120 secondi di pubblicità, in qualche decina di «mi piace».

Forse, in futuro, qualcuno se lo chiederà quale è stato il giorno in cui piantò i pali e alzò il tendone il nostro circo mediatico quotidiano. E decise di non abbassare mai – mai – i suoi riflettori, nemmeno una penombra, un cono di luce nel buio per riflettere un po’. E quel qualcuno troverà forse che Barbara D’Urso e Dmitry Borisov, l’animatore del talk russo Lasciali parlare!, erano solo due fra le tante attrazioni che ogni sera scendevano in pista tra trucchi e botti di gran cassa. Tra applausi e mugugni, grida entusiaste e disapprovazioni di un pubblico anch’esso spesso inconsapevole coprotagonista, col naso finto pure lui.