L’atteggiamento dei Cinque Stelle e la replica piccata di Musumeci hanno annacquato il dibattito sulla questione morale. E’ passata poco più di una settimana da quando l’Ars, al termine di un’anticamera lunga alcuni mesi, aveva deciso di affrontare il tema. In virtù dei quattro assessori e dei sedici deputati indagati, ma anche – e soprattutto – della permeabilità della politica siciliana rispetto a una serie d’inchieste che hanno rischiato di travolgerla: la superloggia massonica di Castelvetrano, il voto di scambio di Termini Imerese e il caso sull’eolico che, attorno alla figura e alle responsabilità di Armando Siri e Paolo Arata, e dei loro rapporti con Vito Nicastri, ha fatto vacillare il contratto di governo fra Lega e M5S.

Come per magia, però, la discussione dell’Ars è precipitata. Dopo che l’onorevole (“Solo perché deputato”) Antonio De Luca ha stracciato in faccia a Musumeci il patentino dell’onorabilità, il presidente della Regione ha risposto a tono, alimentando una caciara che nemmeno a scuola nell’ora di supplenza: “Io ho avuto la sensazione che molti, durante quel dibattito, abbiano portato la discussione su un piano inclinato che facesse sprofondare ogni ragionamento nella banalità o nell’ingiuria – commenta a freddo Claudio Fava, presidente della commissione regionale Antimafia -.  L’intervento grossolano del deputato dei 5 Stelle che dice a Musumeci ‘lei si è venduto la dignità’, è una cosa che non direbbe un pubblico ministero al più feroce degli imputati in un processo. Era un modo per provocare una reazione e c’è riuscito”.

Musumeci ha parlato di giustizialismo. A volte pare una prerogativa dei Cinque Stelle.

“Io non penso sia giustizialismo. Tirare fuori il tema della dignità e pensare che qualcuno se la sia venduta, è semmai cafonaggine. Chi dice una cosa del genere è un cafone, non è un giustizialista”.

Ma a voi parlamentari cos’è rimasto di concreto dopo quel dibattito?

“Sia Musumeci che i 5 Stelle hanno insistito sul fatto che la questione morale riguardi il numero di indagati presenti in aula. Io continuo a credere che si riferisca alla percezione che c’è delle istituzioni politiche nella comunità siciliana, cioè il fatto che siano fortemente permeabili e possano essere aggredite, assaltate, digerite, spartite, saccheggiate a prescindere dalle inchieste”.

Musumeci, al contrario, ha dichiarato che i palazzi della politica sono meno permeabili rispetto a prima.

“Le leggo un passaggio di quanto ha dichiarato il presidente della Regione alla commissione Antimafia durante un’audizione sul sistema Montante. Gli chiesi cosa restasse di quel sistema e quanto fosse ancora aggredibile la Regione, il suo sistema di governo e la sua burocrazia, di fronte a queste ambizioni e avidità, e Musumeci rispose: ‘Mi riesce davvero difficile poter comprendere se ancora oggi gregari, ruffiani, servi, complici operino nella amministrazione regionale. Quanto, oggi, l’amministrazione regionale sia impermeabile a tentativi di condizionamento esterno. Davvero, mi viene difficile poterlo dire in maniera assoluta’. E aggiunse: ‘I nostri assessorati sono affollati da mercenari, lobbisti, affaristi, accattoni, da gente che cerca il nuovo padrino’. Non sono parole orgogliose, sono parole consapevoli. Una consapevolezza che il presidente Musumeci ha avuto l’onestà intellettuale e politica di condividere con la commissione Antimafia, in un contesto in cui non poteva venire a recitare la parte di Alice nel paese delle meraviglie”.

Sembra un po’ diverso da quello che ha detto in aula giovedì scorso.

“Vede, è come se ci fosse uno specchio che Musumeci attraversa spesso, proprio come Alice: da una parte c’è un mondo reale e materiale, fatto di ciò che accade nell’assessorato alle Attività Produttive e all’Energia, per esempio, e ci riporta ad ambienti, a contesti, a dimensioni, con interessi, investimenti e profitti mafiosi; dall’altra, oltre quello specchio, c’è il piacere di cantare l’inno di Mameli con la mano sul cuore, orgoglioso di tutto e di tutti. Una moralità inappuntabile, un governo senza macchia e senza paura…”.

E’ davvero un governo senza macchia secondo lei?

“L’idea di poter essere orgoglioso a prescindere, come se fosse un postulato, una geometria perfetta, è un modo per nascondere la testa sotto la sabbia. Musumeci si è trincerato dietro al fatto che i suoi assessori sono semplicemente avvisati di un procedimento in corso. Ma, tra le sue autocelebrazioni giolittiane, non c’è l’ombra di una preoccupazione per le cose che emergono dalle carte dell’inchiesta, per il comportamento di certa gente che spalanca la porta di un assessorato e va lì utilizzando personale corruttibile o corrotto per organizzare i propri affari, anche per nome e per conto di un capo mafia come Messina Denaro. Di fronte al quadro che ci viene consegnato dalle indagini, il punto non è ‘Dio mio, quanto è fragile la tenuta morale e istituzionale della regione’. Piuttosto, la reazione è stata: ‘Dio mio, hanno violato il segreto istruttorio e rivelato ai giornalisti i verbali d’intercettazione’”.

Ma non tocca ai magistrati emettere le sentenze? I politici non vanno giudicati in base a quelle?

“Penso ci sia un problema legato alle responsabilità eccessive che sono state caricate sulle spalle dei magistrati, che oggi vengono considerati la cartina di tornasole della nostra moralità. A loro è stata affidata la funzione di rifondare la politica, la morale e il senso della civiltà istituzionale. Ma credo che, come tutte le categorie umane, anche i magistrati manifestino le loro fragilità e le loro debolezze. Le vicende di cui si parla in questi giorni, cioè le discussioni notturne fra membri del Csm e alcuni parlamentari nazionali, è malinconica, perché il punto più alto di tutela giurisdizionale, cioè il Csm, diventa una specie di bar dello sport dove le alte cariche vengono discusse in termini di interesse, privilegio e opportunità. Il magistrato, in questo contesto umano e morale, rischia di essere anch’egli un vaso di coccio, un pezzo permeabile, un momento di fragilità etica. E questa è una ragione in più perché la politica sia dia una propria responsabilità, senza scaricare tutto sulle spalle dei magistrati”.

Nessuno può dirsi orgoglioso del proprio operato?

“Se io fra ventiquattr’ore dovessi andare a ricoprire l’incarico di presidente della Regione, scegliendomi la squadra più limpida e trasparente, con una maggioranza coesa e fortemente determinata e appassionata, comunque non potrei dire di sentirmi orgoglioso. Perché c’è un lavoro di rifondazione della funzione politica e della sua autonomia che va fatto. Siamo di fronte a un governo che è ostaggio del franco tiratore di turno e non è capace di governare perché sente di non avere né numeri, né maggioranza, né libertà di autonomia. Di un presidente che è costretto a reinventarsi leghista, perché capisce che questo è l’autobus che sta passando e quindi bisogna diventare tutti leghisti e salire sul piccolo carro del vincitore… Ma tutto questo può essere ragione d’orgoglio? Secondo me no. Io ho la sensazione che la questione morale parta da un bagno d’umiltà: cioè capire che la politica siciliana è malata, fortemente malata, che ha una sua fragilità costituzionale, una sua pervasività che si manifesta giorno dopo giorno”.

Martedì scorso è stato assestato un duro colpo alla mafia agrigentina. Da un’intercettazione è venuto fuori che un altro deputato regionale, Carmelo Pullara, fosse – secondo il boss di Licata Occhipinti – nella disponibilità delle cosche. Pullara s’è autosospeso dalla commissione Antimafia che lei presiede. Un gesto di responsabilità?

“Ho apprezzato anche perché il nome Pullara è contenuto nelle intercettazioni, ma nei suoi confronti non c’è alcun provvedimento restrittivo e nemmeno un’iscrizione nel registro degli indagati. Ma Pullara ha deciso, per tutelare se stesso e la commissione, di autosospendersi. E’ un gesto di responsabilità e non posso che ringraziarlo”.

Da una questione morale all’altra: dopo la revoca della nomina di Bonafede dai vertici della Sinfonica, alcuni partiti si sono scagliati sul presidente della Fondazione, Stefano Santoro. Se c’è, quanto risulta insopportabile questa ingerenza?

“Non credo ci sia un problema di ingerenza quando un governo si occupa di definire ruoli, funzioni e nomi laddove questo rientra fra le sue competenze. Il problema, semmai, è la selezione che si fa a monte, per cui prevale un principio di lealtà, fedeltà, partigianeria, amicizia, contiguità rispetto alle qualità che possono essere espresse. In questo caso si tratta di una persona (la Bonafede) che ha consegnato la Foss con un debito mostruoso, che è in lite contabile e amministrativa con quell’ente e che deve essere imposta ad ogni costo. Il problema non è tanto l’invasione di campo della politica, ma che la politica invada il campo altrui in modo rozzo, ignorante e inutilmente rumoroso”.

I 5 Stelle hanno lamentato l’utilizzo da parte di Forza Italia di un dibattito parlamentare – quello sulla trattativa finanziaria fra Stato e Regione e sulle ex province – per una resa dei conti interna contro l’assessore all’Economia Gaetano Armao. E’ davvero successo questo?

“A me non turba, anzi mi sembra un principio di sana democrazia, che si possa criticare un rappresentante del governo da parte di membri della sua maggioranza. Il fatto è che dietro tutto questo non c’è un’improvvisa epifania nell’essersi resi conto che quell’assessore aveva mal gestito una questione di sua competenza, ma un malessere più profondo, più tranchant, più verticale all’interno della maggioranza. Che questa maggioranza, o questa coalizione di governo per dirla con Musumeci, si porta dietro dalle elezioni. Più che affidarla a una somma di piccole ripicche politiche pubbliche e private, sarebbe il caso, per una volta, che ci fosse una discussione politica dentro l’aula in cui area di governo, opposizione e governo si confrontino sullo stato dell’arte e sulle cose da fare. E se esiste o meno la volontà condivisa per farle”.

Può un governo andare avanti se un partito della maggioranza sostiene la necessità di cambiare un assessore e il presidente della Regione non glielo concede?

“Musumeci cerca di mantenere in piedi questa maggioranza, finge che i suoi ritocchi o rimpasti siano frutto di ragionamenti alti e autonomi. Poi, in ogni passaggio, senti delle mani che da lontano vogliono piazzare le loro pedine nelle caselle che si liberano. Musumeci ha una “sua” franchezza risorgimentale nel raccontare la moralità di questa giunta e un “suo” pragmatismo siciliano nel fare le cose che servono a restare a galla”.

Secondo lei c’è una crisi di governo in atto?

“La crisi di governo si è aperta nel giorno in cui l’esecutivo si è insediato. Due anni fa. Un governo che non governa, o un governo che non ha una maggioranza per governare, è un governo in crisi permanente. Ma noi siamo capaci in Sicilia si trasformare alcune parole nel loro ossimoro: per lo stesso motivo per cui si indica con la parola precarietà la condizione permanente di una famiglia da trent’anni – una cosa abbastanza paradossale – la parola crisi, che dovrebbe affermare lo stato di emergenza e di urgenza, diventa condizione permanente dell’incapacità di produrre politiche. E di questo ce ne facciamo allegramente carico”.