Anche a me piacerebbe tornare a trenta o quarant’anni fa, alle partite alle due e mezza del pomeriggio alla radio, le gite a San Nicola L’Arena coi miei in 500, le estati a San Vito Lo Capo, le magliette attillate (ché allora con le nostre pance piatte potevamo permettercelo), i pantaloni a zampa e gli zoccoli del dottor Scholl’s. E i negozi chiusi la domenica.

Avete sentito questa dei Cinquestelle? Vogliono chiudere al pubblico la grande distribuzione di domenica. Lo stop domenicale del commercio entro l’anno. La liberalizzazione sta distruggendo le famiglie italiane, Di Maio dixit, come se le famiglie non fossero già sminchiate di loro, a prescindere dal marito o dalla moglie di turno la domenica alla cassa o al reparto ortofrutta del Forum di Brancaccio.

Ho la sensazione, e credo di non sbagliare, che l’attuazione del piano “salvafamiglie” alla fine si rivelerebbe assai più dannoso dell’abolizione dei voucher (li ricordate i voucher?). Ho fatto un rapido calcolo. Il mio bar sta aperto 365 giorni l’anno. Per consentire il riposo settimanale (e le ferie) dei miei dipendenti ho bisogno di circa quaranta persone. Se m’imponessero la chiusura domenicale – anche se da quel che ho capito il progetto non riguarderebbe i bar – potrei serenamente fare a meno di almeno sette persone. Sette persone che hanno mogli, mariti e figli e che vivono grazie allo stipendio che garantisco loro.

Provate a moltiplicare i licenziamenti per dieci, per cento, per mille. Provate a immaginare la catastrofe, l’emorragia di posti di lavoro che la legge provocherebbe. Portare avanti il progetto significa non avere alcun contatto con la realtà (la grande distribuzione fattura nei fine settimana il 30 per cento degli incassi mensili). Non mi sorprenderebbe.

Così come l’abolizione dei voucher ha praticamente azzerato il ricorso ai contratti a termine (cosa vi aspettavate, una pioggia di contratti a tempo indeterminato? Poveri illusi, ma dove vivete?) così l’imposizione della chiusura domenicale lascerebbe per strada migliaia di famiglie che a quel contratto a tempo indeterminato sono invece aggrappate con le unghie e con i denti.

Anche a me piacerebbe tornare a “Tutto il calcio minuto per minuto” e alla drogheria del signor Paolo sotto casa, ve l’ho già detto, ma non si può più. Oggi la liberalizzazione, figlia di un progresso faticoso ma necessario, è una condizione essenziale per la sopravvivenza del commercio e di tutte quelle famiglie che il buon Di Maio, senza avere la più pallida idea del tema, dice di volere salvare. Avremo tante famiglie unite e senza una lira, una figata vera, prometto di amarti e onorarti dall’alto dei nostri due cuori e della nostra capanna.