Sui rifiuti la Regione siciliana non sa letteralmente che pesci pigliare. Oggi l’assessore all’Energia, Daniela Baglieri, incontrerà le Srr, le società per la regolamentazione della raccolta in ambito territoriale, alle quali un paio di mesi fa aveva affidato l’incarico di rivolgersi al libero mercato per abbancare altrove la frazione indifferenziata della monnezza che non può più essere accolta nell’impianto della Sicula Trasporti, a Lentini. E’ una situazione che riguarda prevalentemente la Sicilia orientale – a Catania la crisi ha già rischiato di esplodere – ma che nel giro di qualche settimana potrebbe interessare anche l’altro versante dell’Isola. Senza girarci troppo intorno, e nell’attesa che si materializzi la svolta dei termovalorizzatori (ci torneremo), l’unica soluzione è il trasporto dell’indifferenziata fuori Regione. L’incontro di oggi – dopo un primo tentativo andato a vuoto ieri – servirà alle Srr per mostrare ai dirigenti dell’assessorato i preventivi ricevuti dalla società private che hanno manifestato interesse (oscillano fra 190 e 350 euro a tonnellata). Anche perché la Regione si farà carico, da qui ai prossimi tre mesi, di garantire la copertura degli extracosti, evitando ai sindaci di imporre ulteriori balzelli ai cittadini attraverso il pagamento della Tari.

Ma la coperta resta troppo corta. Il ridimensionamento della discarica della Sicula Trasporti (la società dei Leonardi, ora in amministrazione controllata), aveva convinto Musumeci a firmare una disposizione di servizio per lo smaltimento di mille tonnellate al giorno nelle discariche “alternative” di Gela, Siculiana e Misterbianco. Questa disposizione scade domenica e non sarà rinnovata. Da lunedì prossimo si rischia il precipizio. Soprattutto in città come Catania, che gode di pessime percentuali di differenziata (di poco superiore all’11%). Da qui la decisione di portare fuori i rifiuti, con tutti i nessi e connessi. Ad esempio, la Srr Area Metropolitana di Palermo, di cui fanno parte il capoluogo e una ventina di Comuni, potrebbe scegliere – a parità di condizioni – di spedire i compattatori in Liechtenstein, tra Austria e Svizzera. La Renkaede, come ha rivelato Repubblica, è una delle società ad essersi resa disponibile all’espletamento del servizio. Che i rifiuti, ormai considerati una risorsa in tutta Europa, debbano finire da Palermo all’altro capo del continente, è un fatto che grida vendetta. Il risultato di anni e anni di mancata programmazione.

La Baglieri non può fare miracoli. Anche il tentativo di premere sui sindaci per aumentare il livello della differenziata non ha dato gli esiti sperati. Solo a Messina, ultimamente, la percentuale di raccolta ha superato il 40%. A Catania e Palermo, invece, sono lontanissimi dai requisiti di legge (solo 167 comuni su 391 hanno raggiunto l’obiettivo del 65%). Le discariche rimangono così l’unico polo d’attrazione, ma anche quelle sono in via d’esaurimento. E la Regione, che in via del tutto teorica vorrebbe stoppare il business dei privati, non sembra avere alcuna intenzione di concedere ampliamenti o nuove autorizzazioni. Insomma, in Sicilia la monnezza non è una risorsa. E’ semplicemente di troppo. Questo porta alla paralisi, anche se l’assessore ha annunciato che sul fronte dell’impiantistica pubblica si stanno facendo passi avanti: “Sono iniziati i lavori per la settima vasca di Bellolampo, le due di Trapani dovrebbero partire a breve. Come quella di Sciacca”. Ma si tratta pur sempre di discariche, che non vedranno un euro di finanziamento dal Pnrr, che non perseguono la politica del riciclo e del riuso indicata dall’Europa (a cui si fa riferimento nell’ultimo piano rifiuti adottato dalla giunta) e che non incentivano le best practises. Siamo fermi a una ventina d’anni fa, anche se nessuno vuole ammetterlo.

Ventiquattro anni fa, in provincia di Pisa, a Peccioli, il sindaco Renzo Macelloni s’inventò una società mista pubblico-privata, la Belvedere Srl, per la gestione di un impianto di smaltimento nato nella frazione di Lepoli, lì a fianco. Una società tuttora controllata dal Comune al 64%, ma di cui fanno parte 900 soci, di cui la maggior parte sono abitanti del paese (che conta cinquemila anime). Il sistema Peccioli è l’esempio di ciò che la Sicilia non è non sarà mai: una discarica in grado di produrre utili – 25 milioni negli ultimi dieci anni – da reinvestire nel welfare, nella green economy, nella cultura. Ma c’è di più. Dimenticate per un attimo le immagini umilianti di Bellolampo satura d’immondizia, con l’impianto di trattamento meccanico-biologico che fatica a contenere i sacchi, e i gabbiani che svolazzano sulla testa degli operai esausti.

A Peccioli, nel cuore della discarica, è nato un anfiteatro che ospita ogni estate eventi teatrali (Toni Servillo è stato fra gli ultimi ad esibirsi). Dove gli spettatori sono accolti da un museo a cielo aperto: i muri di contenimento sono stati trasformati in opere d’arte dalle forme geometriche e i colori di David Tremlett, maestro della neo avanguardia. Mentre dal terreno si ergono figure gigantesche in polistirene e poliuretano, realizzate dall’azienda Naturaliter, che declinano un messaggio chiaro ai sostenitori dell’economia circolare: dai rifiuti può nascere nuova vita. A Peccioli sono in funzione anche un impianto di biogas per la degradazione della componente organica dei rifiuti e un impianto di mini eolico per produrre energie rinnovabili. E nel frattempo, grazie a una delibera approvata dal Consiglio comunale, l’area di stoccaggio è diventata una sorta di sala ricevimenti: a fine ottobre è stato celebrato il primo matrimonio secondo rito civile. “Siamo una coppia particolare – ha detto Elisabetta, la sposa – Volevamo un posto particolare a anti-convenzionale, in mezzo alle colline. Qui è bellissimo”.

Nemmeno i danesi, con la pista da sci sopra gli inceneritori, si erano spinti a tanto. Ma è un esempio che la dice lunga su quanto siamo indietro e su come sarà difficile invertire il trend puntando sui soliti espedienti. Il trasporto dei rifiuti all’estero, che nasce come soluzione-tampone (almeno fin quando sarà la Regione a metterci i soldi) precede il grande passo di Musumeci verso la realizzazione di due termoutilizzatori in project financing. L’Avviso, scaduto il 2 novembre, è stato prorogato per la terza volta fino a fine anno. Le aziende interessate, sedici a quanto pare, dovranno metterci i soldi in cambio della gestione dell’impianto. Ma dove sorgeranno gli inceneritori non ci si potrà sposare, tanto meno portare la gente a teatro. Legambiente è fortemente contraria e vuole far saltare il banco: “Il governo Musumeci – dice a Repubblica il leader regionale dell’associazione, Gianfranco Zanna – prenda atto del fatto che gli inceneritori non li vuole nessuno. La Regione siciliana è ormai l’unica al mondo a volerli, ma questi dinosauri della gestione dei rifiuti devono adesso abbandonare questa strada e intraprendere, senza perdere ancora del tempo prezioso, la via dell’economia circolare con il potenziamento della differenziata”.

E’ scritto anche nel piano regionale dei rifiuti, che però non sembra fare fede. Per la costruzione di un termovalorizzatore, inoltre, occorrono tre anni di tempo e, al netto dell’impatto ambientale, si produrrà un’altra vacatio spazio-temporale a cui la Sicilia non sembra in grado di sopperire (anche per una questione di costi). L’assenza di pianificazione emerge, inoltre, sul fronte della riforma dei rifiuti, che sarebbe dovuta intervenire per la modifica della governance già nel 2019. Il testo fu bocciato sonoramente dall’aula, all’articolo 1, col voto segreto. I ‘franchi tiratori’ della maggioranza scelsero una fra le tematiche più sensibili per mandare un messaggio di sfida al governo. Mettere una pezza a quel buco, da allora, è stato impossibile: il ddl ha fatto più volte la spola fra aula e commissione, e risulta tuttora inserito all’ordine del giorno di Sala d’Ercole. Lo è da mesi, e nessuno se ne occupa (“Dovremmo risederci attorno a un tavolo – ha detto Giusy Savarino, presidente della commissione Territorio e Ambiente – e ridurre il numero degli articoli, al fine di ottenere i risultati che l’Anac e la Corte dei Conti ci chiedono”). La naturale conseguenza sarà un eterno rimpallo di responsabilità. Fino alla prossima legislatura, quando al nuovo presidente della Regione, e al nuovo assessore all’Energia, toccherà riprendere in mano il faldone. E inventarsi qualcosa di vecchio per coprire un’emergenza sempre pronta a esplodere.