È la più antica residenza reale d’Europa. Oggi è sede del Parlamento siciliano, ma anni e anni fa è stato dimora dei sovrani del Regno di Sicilia, quartier generale – e imperiale – di Federico II e Corrado IV. Il mondo lo conosce perché, oltre ad essere patrimonio Unesco, ospita al primo piano la Cappella Palatina. Il volto di Palazzo dei Normanni, il bel Palazzo Reale che sorge esattamente nel cuore del Cassaro, corrisponde però alla sua straordinaria Cappella Palatina ma anche a molto di più. A raccontarne l’epoca del risorgimento Patrizia Monterosso, l’ex segretario generale della Regione oggi a capo della Fondazione Federico II che cura proprio i due monumenti.

Braccio culturale dell’Assemblea regionale siciliana, la Fondazione guidata dallo scorso gennaio dalla Monterosso, si occupa di gestire dal punto di vista turistico e culturale non solo la Cappella Palatina, ma anche Palazzo Reale. E questo è il primo punto della rivoluzione. Restituire identità e autonomia ad entrambi i giganti monumentali e artistici che hanno scritto pagine e pagine storia della città, trasformando il secondo in un centro propulsore di eventi culturali. “Abbiamo aperto gli occhi, abbiamo aumentato le diottrie – racconta il direttore generale -. Dall’inizio dell’anno abbiamo intrapreso un percorso di valorizzazione artistico, storico, monumentale di Palazzo Reale che sembra semplice, ma che in realtà è molto complesso”.

La valorizzazione del patrimonio culturale, così, passa dalla versatilità, dall’anima dinamica che un luogo così d’alto profilo porta in grembo. “Non poteva continuare ad essere considerato come un mero contenitore – spiega la Monterosso -. Palazzo Reale è il documento vivente, riconosciuto dall’Unesco, di un’arte che ha saputo fare incontrare culture, linguaggi, lingue, approcci diversi di popoli diversi. È la simbologia stessa del palazzo la forte testimonianza di tutto questo”. Ecco che, in poche parole, la conduzione del regno di Patrizia Monterosso si fa chiaro. “Palazzo Reale è della città. Stiamo recuperando una strategia. Un luogo di potere diventa il varco d’apertura nei confronti della città, del territorio, dell’Europa. Sì, dell’Europa. E non è megalomania la mia”.

Apripista di questo nuova conduzione è la mostra ‘Sicilie, pittura fiamminga’, inaugurata lo scorso marzo e arrivata in appena una manciata di mesi a 140 mila visitatori. La mostra raccoglie per la prima volta le opere dei grandi maestri fiamminghi – da Van Dyck a Stomer, da Gossaert a Houbracken – presenti in collezioni pubbliche e private siciliane, oltre al ritratto di Santa Caterina, svelato dopo 32 anni di oblio. “L’arte fiamminga ci ha consentito di collaborare con l’ambasciata belga – confida la donna a capo di una delle più importanti vertebre del sistema cultura -. Portiamo in rappresentazione un allestimento culturale che dal ‘400 al ‘600 cammina accanto al popolo siciliano, accanto alla nostra arte, alla nostra economia”.

Il bis, la mostra, lo farà a Villa Chiaramonte Bordonaro. Una sorta di estensione che porta in scena altre collezioni pittoriche fiamminghe. ‘Dalle Fiandre a Palermo, arte in dimora’, da questo luglio, racconterà gli antichi legami tra la Sicilia e le città marinare fiamminghe, a testimonianza di una cultura multi sfaccettata di cui Palermo, nell’anno in cui è insignita del titolo di Capitale Italia della Cultura ma non solo, ne è il volto. “Il dialogo con l’Europa è fortissimo – confida la Monterosso -. Abbiamo iniziato, lo abbiamo fatto con naturalezza perché è un tutt’uno con il nostro approccio. In un momento storico così ricco di tensioni, non possiamo dimenticare di riconoscere all’arte un ruolo conciliatore. Ha unito culture, lingue, linguaggi. Questa è la nostra lente d’ingrandimento e, devo dire, anche dall’estero la risposta è fortissima”.

Quello che però viene considerato come un teatro shakesperiano in piena regola, non può non mettere al centro di tutto Cortile Maqueda allo stesso modo delle Sale Duca di Montalto. “L’apatia, il transito veloce degli spazi del palazzo, ci hanno abituato a pensarlo come spazio culturale limitatamente alle sale con gli affreschi di Pietro Novelli”. E’ qui che la Monteresso tira fuori l’asso dalla manica. Supporta con la Federico II uno spettacolo, riporta Santa Rosalia a casa, fa scala reale col suo bell’asso. “Uno spettacolo non è un semplice evento culturale. È un fatto che porta con sé una piccola parte di tradizione. Diventa magnificente quando l’atrio Maqueda si presta come palcoscenico nobile per un teatro che porta in scena una santa e una donna che, proprio a Palazzo Reale, ha vissuto”. Il teatro dei pupi di Argento, la voce di Salvo Piparo come narratore, l’ingresso di un’edicola votiva di Santa Rosalia datata 1600 a piazza Monte di pietà. “È la prima volta che un’edicola votiva entra a Palazzo Reale – spiega la Monterosso -. Quel simbolo cui si inneggiava per la liberazione dalla peste, sarà visto da tutti grazie ad un maxi schermo allestito a piazza Monte di Pietà. Anche questo è un modo di aprire il Palazzo alla città”.

Spettacoli, mostre – in programma anche una su Rosalia donna e Rosalia santa il prossimo 4 settembre cui la piéce ‘R, patrona’ farà da anteprima -, ma anche natura, con i giardini reali aperti, numeri, con il milione di visitatori alla Cappella Palatina e gli 8 mila per il Real Verde, e aperture. Perché quello a cui tiene su tutto il capo della Federico II è il ripristino dello storico ingresso su piazza del Parlamento. “L’apertura del portone storico rappresenta l’abbraccio finale alla città, in coerenza alla sua dimensione urbanistica. Un’operazione che si inserisce in un contesto di recupero del percorso medievale più diffuso che, presto, ci porterà a scoprire la cappella sottostante alla Cappella Palatina. Un patrimonio nascosto, celato ai più, l’ennesimo valore aggiunto”. E a chi le chiede se in pentola cuocia dell’altro risponde senza dubbi. “L’altra sfida? Recuperare la spianata di piazza del Parlamento”. Perché, in questa rivoluzione, anch’essa deve essere degna del nome, della storia, di tutti questi visitatori.